L’Italia è la patria del buon cibo e di una cultura enogastronomica che da sempre ha contraddistinto il Paese nel mondo e i nostri ristoratori sono i primi ambasciatori della nostra cucina. Ma proprio l’estero è, paradossalmente, il tallone d’Achille del mondo della ristorazione italiana. Guardando ai format alto di gamma, stellati e non, i nomi non mancano. Basti pensare a Langosteria, Da Vittorio, Da Giacomo o Alajmo, giusto per citarne alcuni. Ma questi stessi nomi, nonostante abbiano un forte seguito e una certa notorietà anche fuori dai confini nazionali, non sono ancora comparabili con i loro competitor esteri. Non si parla di qualità, di servizio o di livello culinario, elementi su cui disquisiscono apposite classifiche internazionali. La differenza sta tutta nei numeri, ovvero nella dimensione di queste catene. Sebbene i loro fatturati non siano in molti casi noti, la cartina al tornasole del loro peso in termini di giro d’affari può essere individuata nel numero di locali attivi. Ebbene, la dimensione dei nostri campioni è ancora molto lontana rispetto ai competitor stranieri come Zuma, Nobu o Nusret per citarne alcuni famosi anche da noi. Zuma, per esempio, sul suo sito conta ben 21 ristoranti in attivo, tra cui Roma e Porto Cervo, ma ha già comunicato l’intenzione di ampliare la sua presenza in Italia puntando su Cortina d’Ampezzo e Capri. L’elenco delle insegne di Nobu è ancora più lungo con una ventina di strutture solo in Europa mentre Nusret ne conta poco più di venti e dovrebbe inaugurare un locale a Milano il prossimo anno. A dire il vero, tra i campioni nazionali si inizia a notare un certo fermento dal punto di vista delle aperture internazionali, che è l’obiettivo imprescindibile per un gruppo italiano. Langosteria ha inaugurato con successo a Parigi e a gennaio ha in programma l’opening del ristorante di St.Moritz. Da Vittorio è già presente in Asia con due ristoranti e a St.Moritz. Tuttavia, la strada per diventare delle catene internazionali ed essere quindi competitivi e rinomati di fronte a un pubblico elitario su scala globale, è ancora lunga. Serve, quindi, un’accelerazione sull’estero perché l’Italia possa portare fuori dai confini nazionali dei piccoli poli dell’alto di gamma. E per fare ciò, sono necessari professionalità e grandi investimenti e non è un caso se tre dei primi cinque gruppi della classifica che abbiamo pubblicato in questo numero abbiano un socio finanziario. La strada è quella giusta, ma occorre accelerare.