“Al vino italiano serve un salto di qualità più che di quantità”. Questo concetto, espresso da Giampiero Bertolini, amministratore delegato di Biondi Santi, in una recente intervista a Il Sole 24Ore sintetizza appieno la vera sfida che si trova di fronte il vino made in Italy. Il vino fa parte a pieno titolo di un più ampio concetto di lifestyle italiano, a cui appartengono anche la moda e il design e in entrambi i settori i nostri prodotti sono posizionati, sia in termini di contenuti che nell’immaginario del consumatore, al top del mercato. Ecco alla nostra offerta vinicola manca ancora un gradino da salire per essere inserita nel top, il luogo che ci compete come paese del bello e del bel vivere.
Certo, il vino italiano ha già fatto molta strada sul sentiero della qualità, dallo scandalo metanolo degli anni 80 a oggi, ma è ora chiamato a fare un ulteriore salto che può rivelarsi decisivo per la nostra affermazione a livello mondiale. La sfida è infatti quella di una valorizzazione che non può misurarsi più in termini di primato produttivo, che già ci appartiene e forse oggi risulta controproducente, ma piuttosto, e soprattutto, a livello di valore.
Un percorso che deve necessariamente passare dal brand: meno vino sfuso a favore dell’etichetta e lo sviluppo di brand forti da sviluppare con una presenza sempre più diretta nei principali mercati mondiali.
Quest’ultimo è un concetto già dominato dai ‘cugini francesi’, maestri nella valorizzazione
(e, diciamolo, nella creazione di ‘hype’) delle proprie etichette. Basta infatti dare un occhio ai dati, cartina tornasole di questa corsa a due velocità, per capire che la strada da percorrere è ancora lunga. Nel 2020, l’Italia ha esportato 20,8 milioni di ettolitri di vino a un prezzo medio di tre euro al litro. Di contro, la Francia ne ha spediti ‘appena’ 13,6 milioni, a un prezzo medio di ben 6,4 euro. Risultato? Nonostante il gap quantitativo, il Paese della Ville Lumière ha segnato un fatturato all’esportazione di 8,7 miliardi di euro, contro i 6,2 dell’Italia.
Il percorso è ancora lungo e sicuramente non privo di difficoltà. Spetta all’intero sistema vino, dai singoli brand ai consorzi, fare fronte comune per diventare numeri uno non solo a quantità, ma anche a qualità.