“Se non posso bere whisky e fumare sigari in paradiso, allora non ci voglio andare”. La battuta attribuita allo scrittore Mark Twain la dice lunga su quanto il distillato romanzesco per antonomasia sia radicato nella cultura del bere ‘spiritoso’. E se il mercato italiano ha visto appannarsi il consumo verso la fine del secolo scorso, trovandosi per qualche tempo appiccicata l’etichetta di bevuta âgée, oggi il whisky vive una nuova primavera e questo rinascimento non riguarda solo i whisky lover di nuova generazione, ma anche il mondo della distillazione nel Belpaese.
Se infatti il consumo è in crescita su scala globale – l’export di whisky scozzese ha raggiunto i 5,6 miliardi di sterline nel 2023, -9,5% rispetto al 2022 ma +14% rispetto al pre-pandemia (dati Scotch Whisky Association) – l’Italia risale nelle classifiche internazionali spinta dai nuovi consumatori e il mercato della penisola, secondo le proiezioni Statista Market Insight, dovrebbe crescere ulteriormente dell’1,66% da qui al 2028. E il fenomeno del whisky made in Italy non può che trascinare questo trend.
Grano, acqua, alambicchi
“La prospettiva è sicuramente positiva e il movimento del whisky italiano sta crescendo – conferma Francesco Bruno Fadda, direttore della guida Spirito Autoctono – soprattutto perché abbiamo tre elementi d’eccellenza importanti: l’acqua, il grano e soprattutto la tradizione della distillazione”. In due anni nella guida agli spirits italiani sono due i whisky premiati con l’Ampolla d’oro – Poli Distillerie dal Veneto e Villa de Varda dal Trentino – ma sono almeno una decina le distillerie che oggi spingono in questa direzione.
“Una strada italiana del whisky non è solo possibile, ma è già stata aperta”, chiosa Fadda. E con lui convengono distributori e retailer. “Il whisky italiano è affascinante – afferma Gabriele Rondani, direttore marketing di Spirits & Colori – e potrebbe essere la prossima onda dopo il gin. E in fondo il trend non stupisce, dato che in un altro Paese di grande tradizione vitivinicola come la Francia le distillerie locali stanno emergendo e sono sempre più apprezzate dagli enotecari”. Una fascinazione confermata da Luca Grilletti di Robymarton (produttore e distributore) che, pur rilevando una fenomeno acerbo, dichiara un interesse appassionato per “una cosa bella e interessante”.
“È una novità e deve ancora ritagliarsi la sua fetta di mercato – precisa Paola Pozzoli, buyer in Eataly per il segmento beverage – ma noi crediamo che le potenzialità di crescita ci siano tutte. I produttori che hanno approcciato il mondo del whisky in Italia, infatti, non sono certo degli improvvisati, ma dei professionisti che vantano una lunga storia nella distillazione”. A Eataly hanno puntato sulla distilleria Villa de Varda, che ha imbottigliato una selezione dedicata al retailer. “Hanno prodotto un single malt e un rye whisky con malto d’orzo e segale coltivati in montagna e acqua delle Dolomiti – aggiunge Pozzoli – e la materia prima dona un’indelebile impronta territoriale, facendo sì che l’italianità di questi due prodotti sia un marchio tangibile”.
New wave tricolore
“C’è un gradissimo interesse tra gli appassionati, che vengono a scoprire le novità in azienda o alle fiere – conferma dalla distilleria trentina Mauro Dolzan – ma c’è un’attenzione crescente anche tra i distributori e i retailer, perché emerge con chiarezza il valore aggiunto di un prodotto made in Italy. È attrattivo per chi ama il nostro Paese, magari per averlo visitato come turista, ma chiaramente non è un prodotto modaiolo”.
Anche Mazzetti d’Altavilla uscirà quest’anno (verosimilmente in estate) con il suo primo whisky e la ragione è presto detta. “Negli ultimi tempi – dichiara Silvia Belvedere Mazzetti, direttore generale – vi è la percezione di una diffusa attenzione verso questo distillato che, pur non essendo tradizionale nel nostro Paese, esercita un evidente appeal. La nostra azienda crede che qualità e marketing debbano avanzare di pari passo e alla stessa velocità. Il mercato italiano sembra pronto per lasciarsi attirare da whisky italiani”. E infatti, pur non avendo ancora la disponibilità del prodotto in affinamento, le richieste fioccano. “Crediamo che questo fermento italiano, senza volersi mettere in competizione con le terre più storicamente vocate (come la Scozia), si possa tradurre col tempo nella creazione di una piccola ma interessante identità italiana di un distillato tipicamente straniero”, aggiunge l’imprenditrice del Monferrato.
Una visione che anche Jacopo Poli, quarta generazione alla guida della storica distilleria di Schiavon (Vicenza), secondo il quale “il whisky è sperimentazione e inventiva, per questo la tradizione distillatoria italiana può dire la sua anche in questo ambito come è avvenuto per il Giappone”.
Mercato in fermento
Non è solo una questione di bandiera, perché è l’intero segmento – nel variegato panorama degli spirits – a vivere una seconda giovinezza sul mercato italiano. La condivisione di un dram da intenditori nel salotto degli over-40 (sempre uomini) ha lasciato il posto ai curiosi che affollano a migliaia i corsi di Whisky Club Italia, ma anche a un pubblico femminile che al Milano Whisky Festival nel 2023 ha quasi raggiunto il 40% degli ingressi.
“Il whisky si sta ringiovanendo – sentenzia Rondani da Spirits & Colori – e dopo il Covid l’attenzione di un nuovo pubblico di appassionati è cresciuta. È vero, il whisky non andrà mai fuori moda, ma ora il trend è davvero favorevole”. E mentre l’Italia si affaccia sul mercato con le prime etichette, le distillerie statunitensi, irlandesi e francesi crescono, “perché propongono prodotti più morbidi, spesso più dolci e dunque avvicinabili anche dal pubblico fuori dalla cerchia dei puristi dello Scotch”, aggiunge Grilletti di RobyMarton.
Visto attraverso la lente delle enoteche di Eataly, il mercato whisky “rimane una nicchia, per quanto importante ed eccellente”, chiosa Pozzoli. “Negli ultimi anni non abbiamo registrato né crescite né decrescite importanti, ma un mantenimento della fetta di mercato”. E l’offerta di qualità sembra prevalere sui prodotti mainstream.
Forti di un portafoglio che spazia dai grandi classici scozzesi come The Mccallan e Glenfiddich al giapponese Nikka fino a piccole realtà artigianali, da Velier confermano la netta evoluzione nel comparto. “I brand più forti, con una storia importante, stanno andando nella direzione di un mercato premium – riferisce Giacomo Bombana – con una spinta verso il lusso evidenziata da Mccallan che, per i 200 anni dalla fondazione, lancia una partnership con Bentley. Questa tendenza è trainata da un mercato mondiale in pieno boom, con l’Asia che ha iniziato a bere forte e ha spinto i prezzi verso incrementi significativi. Eppure, in questo scenario, cresce una sensibilità più vasta che favorisce le nuove distillerie. Se nel 1995 Arran fece scalpore perché da vent’anni nessuno apriva una nuova distilleria in Scozia, oggi gli investimenti sono cresciuti e hanno portato all’apertura di decine di nuove realtà”.
Craft e sostenibilità sono le nuove parole d’ordine, con le quali è cambiato l’approccio. “Il whisky da salottino over 40 appartiene al passato – precisa Bombana – perché oggi ai festival si è abbassata molto l’età. E se l’Italia è sempre stato un mercato qualitativo, con grandi imbottigliatori come Samaroli, oggi realtà più piccole come Whiskyfacile stimolano la gente che da altri mondi si avvicina al distillato con curiosità da nerd”. Non per nulla Velier sta lanciando la collaborazione con la toscana Winestillery per una nuova etichetta italiana.
La fase del “bevitore curioso” di whisky si mostra con chiarezza anche nella miscelazione. “L’attenzione per i cocktail a base whisky è cresciuta moltissimo negli ultimi dieci anni – conferma il presidente dei barman Aibes (Associazione Italiana Barman) Angelo Donnaloia – in particolare i bourbon, ma anche i sigle malt torbati permettono ai bartender di giocare su un approccio gustativo complesso. E poi c’è l’attenzione crescente dei clienti, che negli ultimi anni chiedono marchi specifici e hanno consapevolezza del proprio gusto”.
Probabilmente non si tornerà ai livelli di consumo (quantitativo) di trent’anni fa, ma giocando sulla qualità il whisky sembra davvero esercitare un fascino nuovo su consumatori e consumatrici in Italia.