Fondazioni, musei e istituzioni culturali scommettono sull’alta ristorazione, integrando proposte gastronomiche di qualità. La combinazione tra arte e food ottiene sempre più risonanza.
L’alta ristorazione incontra la cultura favorendo la diffusione di proposte culinarie di qualità all’interno di fondazioni e musei. Un numero sempre maggiore di ristoranti stellati e fine dining sta contaminando, negli ultimi anni, le istituzioni culturali. Un fenomeno che ha posto le sue radici molto tempo fa e in diverse parti del mondo, e che oggi continua la sua corsa.
In italia funziona?
Partendo dal ‘custode’ del Duomo di Milano, nel 2010 viene concesso a Giacomo Bulleri di aggiungere un tassello al suo percorso di espansione e di aprire un ristorante all’interno del Museo del Novecento: Giacomo Arengario. Sei anni dopo Enrico Bartolini raggiunge il momento di svolta della sua carriera con l’apertura del ristorante Enrico Bartolini al Mudec – Museo delle Culture, che lo porta oggi a rappresentare l’unico tristellato della città di Milano. Nel 2018 a Fondazione Prada apre il Ristorante Torre per combinare le esposizioni degli artisti emergenti con una proposta gastronomica innovativa, oggi guidata dallo chef Lorenzo Lunghi. Sulla terrazza della Triennale di Milano, ospitata all’interno del Palazzo dell’Arte, l’Osteria con Vista è firmata dalla cucina di Stefano Cerveni. Questi sono solo alcuni esempi della combinazione arte e food nel capoluogo meneghino, ma anche nel resto d’Italia il fenomeno ha trovato terreno fertile. Nel 2016 il Centro Pecci di Prato ha accolto la proposta culinaria dello chef Angiolo Barni alla guida del Myo Ristorante, la cui cucina si basa sull’incontro tra la contemporaneità e la tradizione toscana. Il ristorante Spazio7 nasce, invece, nella Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino con piatti firmati dallo chef Antonio Romano. All’interno di Palazzo Pfanner di Lucca da pochi anni ha trovato casa Cristiano Tomei con il suo ristorante L’Imbuto. Insomma l’idea di combinare cultura e alta cucina piace e continua a piacere trovando sfumature sempre diverse.
La voce degli chef
Nel 2018 la famiglia Moroni decide di dare vita alla sua terza proposta gastronomica, dopo Il Luogo di Aimo e Nadia e la formula Bistro, all’interno delle Gallerie d’Italia di Milano. Il gruppo bancario Intesa San Paolo, infatti, con l’obiettivo di condividere il proprio patrimonio d’arte ha creato Gallerie d’Italia, con sedi a Milano, Napoli, Torino e Vicenza. Nella sede meneghina il gruppo ospita Voce Aimo e Nadia con la formula caffetteria, ristorante e libreria. “Ci siamo scelti a vicenda – esordisce Alessandro Negrini, uno degli chef patron de Il Luogo a Pambianco Wine&Food – e appena abbiamo saputo di questa opportunità abbiamo partecipato al bando convinti che la nostra filosofia di ‘artigiani’ all’interno di questo progetto così prestigioso potesse aiutare entrambi a far percepire ai clienti che Milano è una città bella. Con bella intendo ricca di storia e cultura, non solo legata al business. Questo abbinamento con Gallerie d’Italia, che ogni anno si rinnova, e la lungimiranza di Intesa San Paolo hanno portato in campo un dialogo con ‘artigiani’ del food, dando vita poi a progetti simili anche a Torino e Napoli. Hanno scommesso su questa tipologia di progetto e hanno vinto”. Il visitatore all’interno del ristorante ha la possibilità di mangiare “osservando le Tre Grazie del Canova dall’altra parte del vetro e questo è un’opportunità più che straordinaria”. In primavera e in estate, poi, il ristorante “si trasferisce fuori” nel Giardino di Manzoni di una “bellezza senza fiato, frutto di una importante sinergia. Sinergia che ci ha portato a costruire il Desco del Manzoni, realizzato in collaborazione con il dottor Stella, Presidente del Centro Nazionale Studi Manzoniani”. Inoltre, il ristorante organizza molteplici eventi, tra cui ‘Il Foyer di Voce’, iniziativa che permette di fare un aperitivo, andare al Teatro della Scala, uscire e trovare i piatti pronti. “Quando ci sono idee e passione dietro un progetto con una location come la nostra accadono cose straordinarie. Abbiamo anche adibito una nuova sala nel museo che si affaccia sul giardino per eventi privati, colazioni e meeting”. Questi progetti hanno già dato i loro frutti, portando i numeri dei primi mesi del 2023 a +15%, calcolando che il 2022 è stato un record per Voce, che ha registrato 3,5 milioni di euro di ricavi. In generale, i musei a Milano negli ultimi anni si sono moltiplicati. “Se vuoi diventare una città turistica, devi offrire opportunità e servizi ai turisti e noi lo stiamo facendo creando anche un’iniziativa interessante che coinvolge Torino e Napoli per fare incontrare i musei”. L’appuntamento prende il nome di ‘I Musei si incontrano a tavola’ e ha l’obiettivo di essere un summit dell’arte museale con la cucina. “Vogliamo rinforzare questa sinergia, magari facendo organizzare a vari chef del mondo cene a quattro mani con musei a quattro mani. Sicuramente io e Fabio Pisani (altro chef patron de Il Luogo, ndr) vogliamo portare la nostra arte al cospetto del visitatore per rendere quelle due ore di visita turistica sensazionali”.
L’anno scorso un’altra stella è approdata all’interno della Fondazione Luigi Rovati, istituita a Milano nel 2016 dalla famiglia Rovati, nella cui orbita ruotano il Gruppo Giacomo Milano, Tearose e Il Salviatino. Si tratta del progetto imprenditoriale di Andrea Aprea che ha portato un ristorante e un bistrot in corso Venezia 52. Dopo 10 anni alla guida del Vun Andrea Aprea, nel Park Hyatt Milano, in qualità di Executive Chef con cui ha preso due stelle Michelin, ha deciso di aggiungere un tassello alla propria carriera professionale e di cambiare format. “Dopo l’esperienza all’interno dell’albergo, volevo trovare una location diversa che riuscisse ad avere un approccio culturale più vicino all’arte gastronomica”, ha dichiarato Andrea Aprea. “Ciò che mi ha spinto a fare questo cambiamento è stata sicuramente anche la volontà di diventare imprenditore, oltre che chef. Poi la posizione della fondazione è splendida”. La proposta culinaria all’interno del museo si sdoppia su due piani diversi. All’ultimo trova casa il Ristorante Andrea Aprea, in 400 metri quadrati, di cui 210 in sala, private dining, cantina, hall d’ingresso e 190 metri quadrati di cucina a vista, per un totale di 36 coperti. Nella corte verde del palazzo si trova invece il Caffè Bistrot che propone 22 coperti all’interno, a cui si aggiungono i 12 nel dehors che si affaccia sul giardino. I due diversi format rispecchiano la volontà di “raggiungere due diversi tipi di target. Per coabitare in un luogo del genere bisogna ragionare in modo sinergico e sproniamo sempre i nostri ospiti a visitare la fondazione, se ancora non lo hanno fatto, e viceversa a gustarsi una cena da noi dopo la visita”. La stella Michelin è arrivata dopo pochi mesi dall’apertura “come conseguenza di ciò che abbiamo fatto, cercando di tenere lo stesso livello degli ultimi dodici anni. Abbiamo voluto dare continuità a quello che abbiamo realizzato in passato”. Spostandosi in un’altra regione, presso il Mart – Museo di arte moderna e contemporanea di Rovereto (Trento) ad aggiudicarsi la gestione della ristorazione nella caffetteria dell’istituto è stato Alfio Ghezzi. Lo chef, che portò le due stelle Michelin a Locanda Margon (ristorante di casa Ferrari), ha raccontato come la partecipazione al bando sia stata una “coincidenza, perché il museo lo ha pubblicato proprio mentre io stavo finendo il mio rapporto di lavoro con il gruppo Lunelli”. La proposta culinaria si distingue in Bistrot, che da mattina a sera offre pausa pranzo, merenda o uno snack all’uscita della mostra, e il ristorante serale Senso, con una stella Michelin. La filosofia di cucina si basa su una sola proposta di degustazione denominata ‘La Cucina del Senso’, con la possibilità di fare un percorso più breve denominato ‘Antologia’, scegliendo quattro portate. “Penso che avere un ristorante in un museo influisca nel momento in cui uno si riconosce nell’altro, nella condivisione degli stessi valori, nello stesso modo di vedere le cose e di porsi. In questo modo si lavora in sinergia e questo fa bene ad entrambi”. Tra i vantaggi di lavorare in una location del genere emerge la possibilità di avere “un ventaglio di potenziali ospiti più ampio, una mostra di grande risonanza può attirare moltissimi visitatori”. Nel 2021 Senso conquista una stella Michelin. “Il nostro obiettivo rimane sempre fare bene, dove bene significa semplice, vero, riconoscibile e autentico”. La concessione per la gestione all’interno del Mart ha durata di sei anni, al termine dei quali non è ancora stato annunciato se Senso rimarrà al comando della proposta culinaria. Sicuramente per lo chef questa esperienza “non è assolutamente conclusa”. Di comune accordo con i colleghi, Ghezzi conferma che “il rapporto tra ristorazione e arte negli ultimi anni ha subito un profondo cambiamento, grazie ad una presa di coscienza che ha permesso di capire che fra questi due mondi ci possono essere dei punti di contatto, dei ponti. I visitatori del museo manifestano interesse e curiosità e quindi possono condividere con più facilità l’esperienza della cucina fine dining”, conclude. “Trovo che alcuni tratti dell’arte come segno/linguaggio, autenticità, sensibilità, viaggio/visione possano essere comuni anche alla cucina o al cuoco”.
E nel mondo?
Il fenomeno di contaminazione tra queste due realtà trova risonanza anche in molti altri musei del mondo, dove a prendere il comando delle proposte culinarie sono fine dining e stellati. Basti pensare alla National Gallery di Singapore che ha affidato allo chef Julien Royer la sua cucina con il ristorante tristellato Odette. A Bilbao, in Spagna, all’interno del Guggenheim Museum Bilbao, si può degustare il menù ad una stella Michelin nel ristorante Nerua, guidato dallo chef Josean Alija, che fa rivivere i sapori tradizionali baschi da una prospettiva innovativa. Ad Amsterdam a guidare la proposta all’interno del Rijks Museum, il museo nazionale che ospita opere d’arte fiamminga, si trova il ristorante dal tocco orientale Rijks, capitanato dagli chef Joris Bijdendijk e Ivan Beusink. Oltreoceano al MoMa – Museum of Modern art di New York in una cornice che si affaccia sull’Abby Aldrich Rockefeller Sculpture Garden emerge il ristorante The Modern dello chef Thomas Allan, che vanta due stelle Michelin. Insomma l’arta culinaria e quella museale sembrano aver trovato dei punti in comune e terreno fertile per costruire ‘gustose’ collaborazioni.