Non c’è pace per il mondo della ristorazione. Se qualche settimana fa il main topic era la scarsa sostenibilità del fine dining, in termini tanto finanziari quanto emotivi, così come raccontava Rene Redzepi, chef del Noma di Copenaghen, in questi giorni sotto i riflettori si palesa un’altra problematica, emersa soprattutto negli ultimi due anni: quella del reperimento di personale.
A questo giro, tocca infatti a Filippo La Mantia ripensare le carte in tavola. Lo chef ha infatti annunciato, tramite un’intervista a La Repubblica, di voler sospendere il servizio presso il suo ristorante ‘Oste e cuoco’ al Mercato centrale di Milano, ad appena un anno dall’apertura. “Dal 1 marzo sospendo il servizio del ristorante: è solo un’interruzione, voglio rivoluzionare il modo di strutturare l’offerta di ristorazione, ho avuto tanta difficoltà col personale”, racconta lo chef al giornale, precisando che non si tratta di una chiusura definitiva, pur non comunicando una possibile data di riapertura.
“Nel ristorante ci ho messo tutto quello che ho imparato fino al 2020: una cucina di casa, all’insegna della convivialità, ma quello che è cambiato è la mia percezione del mondo del lavoro”, prosegue La Mantia. “Scegliere i miei ‘compagni di viaggio’ è sempre stata una priorità; l’esperienza al Mercato è stata una palestra meravigliosa per capire e capirsi, mi ha mostrato uno spaccato di realtà a cui non ero abituato”.
Infatti, “sono cambiati i periodi e gli approcci, cambia la tipologia di prestazione che i giovani vogliono dedicare, basta che manchino due o tre figure focali e il servizio non rispetta quello standard che io amo dare. Sarò severo ma giusto, me lo riconosco, e pago bene, anche dai primi livelli di esperienza. Ma siccome Milano offre diverse nuove aperture e anche molto appealing, quella fascia di personale che non supera i 30 anni si trova a cambiare molto spesso bandiera, a volte anche tornando al primo luogo di lavoro. Il preavviso minimo sono 20 giorni ma in questo lasso temporale non si riesce assolutamente a ricostruire una piccola brigata, dato che spesso i colleghi se ne vanno insieme. Parto a fare colloqui anche oltre tre mesi in anticipo se so di dover realizzare una nuova apertura, ma 20 giorni sono davvero nulla in questo mondo”.
Se infatti al momento dell’apertura Oste e cuoco contava 15 persone, tra sala, cucina, contabilità e accoglienza, “oggi mi trovo ai minimi storici, tre in sala e in cucina ho solo un pasticcere e due cuochi più me stesso. Chiudo perché non voglio arrivare a fine servizio con l’affanno”. La sera, alla carta, per esempio, “non voglio mai superare 50 degli 80 coperti che ho a disposizione proprio per mantenere quella caratteristica del mio essere Oste”.
Ed ecco quindi che lo chef prova a trovare una soluzione. “Sto pensando a una riorganizzazione e un riposizionamento del mio format insieme a Umberto Montano (Chairman & Founder del Mercato Centrale, ndr) e l’obiettivo è quello di impiegare meno personale”.
Le criticità riguardanti la ‘questione personale’ sono emerse dalle testimonianze di esponenti di diversa provenienza, dalla ristorazione commerciale con Cristian Biasoni, AD di Chef Express; alla Gdo con Roberto Selva, Chief Marketing & Customer Officier di Esselunga; fino al fine dining di Zuma, specialista dell’alta ristorazione, che raccontava a Pambianco Wine&Food di non poter accettare tutte le prenotazioni o di dover saltare, in alcuni casi, il servizio pranzo proprio per mancanza di personale.
Da Copenaghen a Milano, sembra quindi che ripensare i format che hanno reso grande la ristorazione sia l’unica soluzione. E se il Noma verrà trasformato in un “gigantesco laboratorio”, non resta che stare a vedere di quale veste La Mantia, e chi come lui nella medesima situazione, deciderà di vestire il proprio ristorante