Marchesi Mazzei archivia un 2021 in crescita a doppia cifra, con un fatturato che arriva a 18,6 milioni di euro, e conferma il trend sui primi quattro mesi del 2022. Il dato del consolidato (che integra vino e hospitality) per il 2021 è nettamente positivo non solo rispetto al 2020 (+46,54%), ma anche rispetto al pre-Covid, con un solido +19% sul 2019. “Considerando il solo segmento vino – chiarisce il CEO Filippo Mazzei – la crescita sarebbe ancora più consistente e questo vale anche per l’avvio del 2022. Ad aprile siamo infatti a +30,7%, ma dobbiamo considerare che lo scorso anno si è aperto con un lockdown per l’Italia, mentre l’export tirava ancora”. Il valore dell’export sul 2021 risulta infatti determinante, rappresentando il 68,7% del fatturato.
“Confrontandomi anche con altre aziende vitivinicole importanti – chiosa Mazzei – tutti stiamo andando fortissimo, soprattutto in Italia. Però c’è da chiedersi se durerà. Le informazioni sull’economia peggiorano di mese in mese e l’impatto dell’inflazione sulle materie prime potrebbe esser cruciale. Oggi tutti escono al ristorante perché è primavera e siamo fuori dal Covid, ma i rincari in bolletta li abbiamo visti tutti e c’è il rischio (spero non probabile, ma possibile) di un forte calo dei consumi”. Il posizionamento dell’azienda di casa Mazzei è sull’alta gamma, “abbiamo vendemmie importanti da vendere – chiosa il CEO – e c’è molta attesa per lo sbarco sulla piazza di Bordeaux. Per questo confidiamo di non subire un impatto drastico, ma il comparto potrebbe subire ripercussioni”. In questo senso i rincari sono stati assorbiti con un ritocco dei listini, che ad oggi potrebbero tenere sotto controllo l’impennata di energia e materie prime. “Stiamo studiando la situazione linea per linea – aggiunge Mazzei – perché il problema non è sul venduto, ma su quello che metto a magazzino. Dovrebbe essere ancora una situazione sostenibile, ma la stiamo studiando per esserne certi”.
Anche sul fronte della geopolitica non c’è da sorridere. La crisi Russia-Ucraina impatta infatti sul mercato, allargandola propria influenza oltre i due Paesi. “A parte piccoli ordini in Ucraina, è il mercato russo che per noi rappresentava ricavi per circa 700mila euro – chiarisce il CEO – e sicuramente non torneremo a quei volumi. Alcuni ordini sono arrivati, ma è tutto rallentato. Al di là del dramma della guerra, la paura futura sul piano strettamente di mercato è però l’impatto su altri mercati vicini al conflitto”.
Forte dei numeri del 2021, l’azienda con base in Chianti Classico e tenute anche in Maremma e Sicilia ha visto un positivo avvio di 2022 e si è presentata al Vinitaly con un focus preciso: gli autoctoni.
Per Castello di Fonterutoli, l’attenzione è concentrata sui tre Gran Selezione, i Tre Cru che sono espressione di singoli vigneti in tre diversi comuni e che nel calice restituiscono i differenti suoli e microclimi. “La scelta del Consorzio Chianti Classico di introdurre le Unità Geografiche Aggiuntive (UGA) conferma l’importanza di questo progetto”, evidenziano dall’azienda, i cui cru – Castello di Fonterutoli, Vicoregio 36 e il sempre eccellente Badiòla, che proviene da vigne tra le più̀ alte di tutto il Chianti Classico e godono di un clima particolarmente fresco – ricadranno in tre differenti UGA: Castellina in Chianti, Vagliagli e Radda in Chianti.
Altro terroir per la Tenuta di Belguardo in Maremma, a 10 km dal mare, dove la proposta più intrigante è Codice V 2020, un cru di Vermentino frutto di due cloni provenienti dalla Corsica e due dalla Sardegna, affinato in anfora per nove mesi. Spostandosi in Sicilia, dalla Tenuta Zisola a Noto viene Doppiozeta, il “multicru” di Nero d’Avola dalle tre migliori parcelle aziendali coltivate in biologico ad alberello, che fa fermentazione naturale e non è filtrato.