Si chiama Pokewaii la nuova avventura di Zushi, la catena di ristoranti giapponesi che ha chiuso il 2019 sui livelli di fatturato dell’esercizio precedente (circa 29 milioni di euro) a parità di punti vendita. E si tratta di una vera e propria diversificazione di business, perché dalla cucina del Sol Levante si passa a quella hawaiana e al piatto probabilmente più gettonato dell’ultimo anno. Una scelta inizialmente avviata nella sola modalità delivery, ma che in futuro potrebbe meritare da parte degli investitori, identificabili nel club deal fondato da Paolo Colonna e Valeria Lattuada, un programma di aperture di ristoranti a marchio.
“Pokewaii è il brand che segna il nostro ingresso nel poke ed è attualmente una dark kitchen interna ai nostri store”, ha raccontato a Pambianco Wine&Food il ceo di Zushi, Cristiano Gaifa. “Eravamo già presenti in 15 città con il servizio, consegnato attraverso Just East, Deliveroo e Mymenu, con l’apertura in previsione di un primo flagship a Milano. Ora chiaramente i programmi vanno rivisti in base all’evoluzione dell’emergenza, ma la scelta è ben avviata, anche se Pokewaii continuerà a privilegiare le ordinazioni online e non pensiamo di arrivare a una dark kitchen esterna dedicata. Continueremo a gestirlo internamente secondo lo schema del poke personalizzato, componibile attraverso app”.
A fine febbraio, l’apporto di Pokewaii già pesava positivamente sui conti del gruppo, con cinque punti di fatturato in più rispetto ai numeri dell’anno precedente e nonostante l’impatto negativo del coronavirus sulla ristorazione asiatica. Pur essendo un giapponese, Zushi era stato infatti colpito dalla sinofobia gastronomica osservata durante il mese di febbraio nella ristorazione, e il cui effetto pare destinato a continuare nei prossimi mesi. “La differenziazione hawaiana ci aveva in parte salvato dalla crisi dell’etnico asiatico”, riconosce Gaifa.
Nel frattempo, Zushi non ha spento i motori. I ristoranti della catena sono rimasti aperti per il servizio delivery e lo hanno fatto proprio nelle città più colpite dal contagio: oggi operano a Bergamo, Brescia e naturalmente a Milano. “I margini sono ovviamente molto bassi, ma almeno esistiamo e continuiamo a farci conoscere”, afferma l’investitore Paolo Colonna.
Prima dello stop, erano 24 i locali a marchio Zushi aperti in Italia, con altri quattro in fase di opening a Livorno, Como, Varese e Roma. “Non avendo mai visto una situazione di incertezza come questa nel corso della mia vita, non mi aspetto nulla di certo per tutte le attività in cui sono coinvolto, ristorazione compresa. Aspettiamo la fine dell’emergenza a livello globale. Il Giappone e la sua cucina non c’entravano nulla con la Cina, ma sono stati comunque colpiti”, conclude Colonna.