Espandersi al nord e centro nord Italia, acquisendo brand già ‘formati’, così da intercettare al meglio le richieste dei mercati esteri. Zonin1821 ha le idee chiare e sul tavolo, come spiegato a Pambianco Wine&Food dal CEO del gruppo Pietro Mattioni, ci sono già alcuni dossier da valutare. “Se guardiamo al vino italiano, soprattutto in relazione all’estero – spiega Mattioni – ci sono denominazioni in cui non siamo presenti e su queste stiamo valutando acquisizioni o altre forme di partnership che rafforzino il nostro portafoglio”. Al momento, “siamo molto coperti al sud, ma al nord e centro nord ci manca qualcosa”. La discriminante nella scelta? Acquisire realtà che abbiano “brand già visibili sul mercato. Non ci interessa più comprare vigneti e partire da zero, strategia che per anni ha contraddistinto Zonin”. E per alcune tenute, “quelle meno strategiche, possiamo anche pensare a un disinvestimento”, aggiunge il CEO.
L’estero è infatti un elemento chiave per il gruppo in quanto genera, grazie alla presenza in più di 140 Paesi, l’85% degli oltre 195 milioni di euro di fatturato 2021. Non a caso, proprio nell’ottica di sviluppare la propria presenza internazionale, sia a livello di canali sia di branding, il gruppo ha appena concluso un processo di ristrutturazione che ha coinvolto l’headquarter di Gambellara (Vicenza) e le filiali di Miami e Londra. “L’idea alla base – spiega il CEO – era creare un blend virtuoso tra professionisti del vino e professionisti che arrivano dal settore non vinicolo così da poter creare una sorta di miscuglio magico che associa alle grandi competenze del vino quelle accumulate in settori esterni ma con meccanismi di gestione simili e complessità superiore”.
A livello di attività di branding, questa viene svolta tanto sui marchi quanto sul gruppo in generale. A livello di Zonin1821, oltre ad aver unificato l’immagine in tutto il mondo, la realtà veneta ha due obiettivi: branding B2b, “che nel settore vuol dire essere riconosciuti come la grande azienda del vino italiana, alla pari di altri grandi conglomerati stranieri” spiega Mattioni; branding B2c, sviluppando una sorta di individualità per ciascuna tenuta così che “il consumatore non le associ al gruppo”.
Zonin1821 conta infatti due grandi divisioni di business che seguono logiche diverse a seconda del mercato di riferimento: i brand delle tenute (per esempio Ca’ Bolani in Friuli e Castello del Poggio in Piemonte) che generano il 34% del fatturato e oltre il 50% della profittabilità e hanno uno sbocco quasi esclusivo in Horeca e, in alcuni mercati, nell’e-commerce; e poi i brand lifestyle (come Zonin) che a volume rappresentano la maggior parte del fatturato e sono per lo più destinati al canale moderno. Qui l’azienda sta portando avanti un lavoro di pulizia del portafoglio che, per ciascun mercato e canale, è orientato a delle priorità assortimentali. Nel frattempo, “stiamo crescendo molto nell’Horeca”, spiega il CEO, complice anche “un lavoro costante di miglioramento della qualità intrinseca e percepita dei vini”.
L’e-commerce, tra gli altri canali, è un’area di forte sviluppo futuro per l’azienda che, dopo aver aperto l’Enoteca Zonin1821, ora sta lavorando per aumentare presenza nelle piattaforme online del vino. “Il canale sta iniziando a crescere anche se la quota è ancora molto piccola. Ciò che vogliamo è che le vendite del canale digitale siano parte strutturale dei ragionamenti di canale che facciamo per ciascuno dei nostri brand”.
Dopo aver chiuso una semestrale con il miglior risultato degli ultimi cinque anni, la seconda metà dell’anno, complici aumento dei costi e inflazione, “è piuttosto incerta”. Per quanto riguarda il gruppo Zonin1821, “sono sereno perché le tenute hanno delle marginalità che tengono. Ma dove andrà l’industria del vino nel 2023, considerando tutte queste variabili, è ancora tutto da vedere”, conclude Mattioni.