Nel 2020 l’import complessivo di vino in Cina è sceso pesantemente (-27%), ma la situazione sta cambiando e per l’Italia è iniziato il recupero, anche a seguito del sostanziale blocco delle importazioni di vini australiani decretato al governo di Pechino e che, come anticipato da Pambianco Wine&Food, può costituire un’occasione per rilanciare l’export tricolore verso Pechino.
In particolare, il dato riportato da Sky News Australia è eloquente: a dicembre, l’ammontare del vino australiano esportato in Cina è stato pari a 4 milioni di dollari, in caduta libera (-98%) rispetto al valore registrato nel mese precedente.
Denis Pantini, responsabile di Wine Monitor-Nomisma, offre qualche elemento in più per capire l’evoluzione in atto. I dati annuali del 2020 analizzati da Wine Monitor confermano la prima posizione dell’Australia, che è anche la meno indebolita nella top5 degli esportatori di vino verso la Cina, ma la situazione è certamente in piena evoluzione. La flessione australiana è pari al 19,3% nei 12 mesi, contro un -29,2% della Francia, -37,2% del Cile, -27,9% dell’Italia e -33,9% della Spagna. Il focus sull’ultimo quarter evidenzia invece un recupero sia dei produttori francesi, che salgono dai 91 milioni di euro esportati nel secondo quarter ai 115 del terzo e ai 131 milioni dell’ultimo trimestre, e anche degli italiani, che da 19 sono saliti a 22 per chiudere infine a quota 28 nel periodo ottobre-dicembre.
Nel frattempo, l’Australia ha confermato nell’ultimo quarter il giro d’affari del terzo (168 milioni) pur avendo quasi azzerato il business di dicembre. “È probabile che, nel periodo precedente all’adozione dei dazi, gli importatori cinesi abbiano fatto scorta di vini australiani, un po’ come hanno fatto gli americani lo scorso anno con i vini italiani quando si temevano misure analoghe da parte dell’amministrazione Trump”, afferma Pantini.
“La situazione in Cina va valutata da novembre in avanti”, precisa Pantini, sottolineando come il Paese fosse già prima del Covid in fase calante per quanto riguarda le importazioni di vino. “Il fatto più significativo è che sia in atto, da un paio di mesi, una ripresa dell’import dall’Italia, che resta comunque inferiore ai valori di fine 2019. E sicuramente i problemi dell’Australia possono rappresentare un’occasione per rilanciare le vendite dei vini italiani, anche se ci sono altri potenziali concorrenti tra cui il Cile, che è privo di dazi all’ingresso”.
La battaglia cinese dovrà essere però combattuta con continuità e investimenti da parte degli italiani. “Prima del blocco, l’Australia era leader perché aveva investito tanto in Cina su marketing e riconoscibilità dei suoi vini, mentre gli italiani tendono ad appoggiarsi agli importatori, che in Cina non offrono le stesse garanzie di fedeltà nel tempo dei loro omologhi giapponesi e coreani”. Di conseguenza, pur essendo tutti convinti che la Cina potrebbe rappresentare il mercato del futuro, gli italiani cercano di aumentare la presenza nei Paesi circostanti, dal Giappone alla Corea fino a Singapore e a Hong Kong, ma sono in pochi ad aver scelto, per esempio, di aprire società estere all’interno dei confini cinesi. Tra questi compaiono, ad esempio, Zonin 1821 e Pasqua Vigneti e Cantine. “Gli altri stanno alla finestra, e secondo me non hanno neanche tutti i torti, perché la situazione è fluida e va analizzata nel tempo”, conclude Pantini.