Che il vino sia convenzionale, ‘naturale’, biologico o biodinamico, una cosa è certa: va venduto. E sul fronte commerciale, ancora oggi, le differenze non sono così rilevanti come accade, invece, in campo agronomico ed enologico. Questo ovviamente dipende dalle reti di trasporto e di logistica comuni, dall’uso similare dei materiali per il packaging, dall’impronta carbonica delle spedizioni, talvolta dai venditori che hanno cataloghi misti, così come dai distributori che, a parte alcuni nomi che hanno fatto una scelta di campo netta, si trovano a proporre etichette e storie molto diverse tra loro. Discorso non dissimile tra ristoratori ed enotecari: sono sì in aumento i locali dove la somministrazione e la vendita di vino cosiddetto ‘naturale’ diventa una scelta etica, ancora prima che commerciale, ma rappresentano ancora una minoranza. Indubbiamente però i bevitori abituali di vino nei principali mercati di tutto il mondo sono alla ricerca di stili di vino a basso intervento e, di conseguenza, proliferano sia le proposte produttive che i canali attraverso i quali distribuire e vendere questa tipologia.
BEVIBILITÀ E TERRITORIALITÀ
Les Caves de Pyrene Italia nasce ad Alba nel 2009 grazie a Christian Bucci per promuovere i vini di territorio. Il motto? “Less is more”. La collocazione del catalogo è chiara, solo vini a basso intervento. Questo vuol dire ‘naturali’? “Le etichette limitano ma indubbiamente il 95% delle nostre proposte vanno in quella direzione”, spiega Bucci. “A distanza di quasi 15 anni, dico che il vino che mi interessa è quello senza solforosa, con buona acidità e bevibilità. Sono scelte gustative ancor prima che filosofiche e che si sono rivelate vincenti, ma non erano scontate”. A fronte di un 2022 più che positivo – 11 milioni di euro di fatturato – Bucci racconta che gli inizi non sono stati affatto semplici, con clienti che non avevano alcuna voglia di assaggiare questi vini, tanto da far pensare a una chiusura della società dopo i primi due anni. “Poi qualcosa è cambiato grazie a un grande impegno da parte nostra e a scelte diverse del consumatore. Nella ristorazione sono subentrati i figli dei titolari che hanno mostrato maggiore curiosità, un cambio generazionale che ha aiutato a comunicare diversamente il vino”. Inoltre, “solo in formazione Les Caves de Pyrene investe quasi 450 mila euro l’anno tra cene, pranzi, eventi di degustazione e campionature. Tantissimo se si pensa che parliamo solo di un 5% del mercato totale del vino e di cui noi siamo una parte ancora più piccola”.
Bevibilità e territorialità sono due mantra anche per Teatro del Vino, la distribuzione di Sesto Fiorentino in provincia di Firenze. Il direttore commerciale Luca Santini, insieme ai due soci fondatori Mario Galleni e Leonardo Stelloni, è un po’ come San Tommaso e chiede di assaggiare prima di comprare. “L’umanità che c’è dietro questi vini è spesso tanta – racconta Santini – ed è importante da comunicare, ma l’approccio che ci siamo imposti è quello laico e la valutazione che conta è quella che emerge dal bicchiere. È ormai un dato di fatto che la gran parte dei vini che ci piacciono sono fatti da produttori poco interventisti in vigna come in cantina, ma non è la sola scelta fatta da Teatro del Vino. Prima di tutto viene il rispetto del cliente e dobbiamo essere certi di proporre un vino affidabile e, purtroppo, succede ancora spesso che questa tipologia di vini, affidabile, non lo sia, né in bevibilità né in longevità. Abbiamo così scelto di non avere etichette ‘estreme’ che strizzassero l’occhio a un preciso segmento di mercato. Sono convinto però che questa fascia si consoliderà e ciò aiuterà i viticoltori ad avere anche una maggiore attenzione produttiva”.
LA FRANCIA LO FA MEGLIO
È una distribuzione iper-specializzata quella di Stefano Sarfati che vende – e crede – nel vino ‘naturale’ dal 2006. Dice che gli sono bastati pochi calici bevuti, soprattutto francesi, per capire che non avrebbe potuto vendere nient’altro. E la Francia continua a essere il Paese di riferimento – occupando gran parte del catalogo – perché, secondo il distributore, è oltre le tendenze ed è quindi più facile non imbattersi in etichette che inseguono solo l’opportunità commerciale. “I vini naturali sono come le persone – spiega Sarfati – seducono per il loro carattere autentico e vengono selezionati uno per uno dopo aver conosciuto i viticoltori e assaggiato i loro prodotti. Difficile stilare un protocollo univoco, ma scelgo vini da agricoltura sana, spesso in biodinamica (quella biologica spesso non basta) con fermentazioni spontanee con lieviti indigeni, poca solforosa, alcun additivo aggiunto”. Come dice Sarfati, un distributore non si limita a selezionare, ma deve vendere e la storia di queste aziende può fare la differenza per un cliente: “Su questo argomento, se parliamo di ristorazione, riscontro ancora una grande differenza tra conoscenza del cibo e competenze sul vino e questo fa sì che la carta dei vini rimanga indietro rispetto alla proposta gastronomica. Forse, normare questa tipologia di vini potrebbe ‘tranquillizzare’ gli acquirenti”.
L’Italia non la fa da padrone neanche nel catalogo Triple A, divisione della società Velier che genera il 10% degli oltre 100 milioni di ricavi con 650mila bottiglie vendute. Nel suo catalogo, infatti, la Francia copre il 50% delle referenze. “I produttori italiani stanno recuperando bene – spiega la responsabile Margaux Gargano – e uno dei nostri compiti è anche quello di fare scouting e consulenza alle aziende in crescita. Per ora posso dire che i vini sono sempre più puliti. Più buoni di quelli francesi? Non so”.
QUESTIONE DI TERMINOLOGIA
Dopo 20 anni di attività – Triple A è stata la prima distribuzione al mondo a scommettere sui cosiddetti vini ‘naturali’ – è ora tempo di pensare agli anni che verranno. “Nel corso di questo 2023 – afferma Gargano – faremo sparire dalla nostra comunicazione la parola ‘naturale’. Vogliamo comunicare solo il terroir”. Una marcia indietro? No, dicono dalla direzione, solo la voglia di chiarezza in un segmento che ancora oggi genera troppa confusione. Inoltre “vogliamo garantire, a chi ci sceglie, la migliore espressione di questi terroir”, conclude la responsabile.
Elemento Indigeno nasce nel 2021 da una costola di Compagnia dei Caraibi, attiva nell’importazione e distribuzione di spirits, vini e soft drinks, e si colloca nella categoria dei ‘vini da tutto il mondo’, preferibilmente biologici e biodinamici, con circa 400 etichette da 75 Paesi. “Direi che la parola ‘naturale’ ha fatto da grimaldello per spalancare l’attenzione su un mondo vasto e affascinante che è quello di una produzione poco interventista”, racconta il sales manager Alessandro Salvano. “Dopodiché, abbiamo preferito orientarci sulla ricerca di referenze internazionali e sulla categoria del gusto – bevande connotate da acidità, mineralità o sensazioni bitter – e fare proposte che accontentino le aspettative dei consumatori. A quel punto che sia vino, birra o spirits – a patto che sia di matrice artigianale – il distinguo è secondario”.
LA PAROLA ALL’HORECA
Danilo Ingannamorte può vantare qualche primato all’interno del panorama della ristorazione milanese: il suo ristorante Erba Brusca è stato tra i primi ad avere un orto biologico e una carta di vini ‘naturali’. Anche qui, la motivazione è personale più che strategica. “Bere dei vini naturali – racconta il ristoratore – è stato come respirare ossigeno dopo tanta apnea. Volevo fare la mia parte, sensibilizzando il consumatore su prodotti più sostenibili. Era il 2011 e c’era la sensazione di qualcosa di un po’ naïve ma anche di utile. L’ispirazione è partita dall’estero, dalla Francia in particolare, dove il successo della ‘bistronomie’ era legato anche alla voglia di ribellarsi all’omologazione del gusto”. Un certo disamore però è cresciuto nei confronti di questo racconto: “Quando il fenomeno è esploso – racconta Ingannamorte – mi sono reso conto che si ragionava poco sugli effetti di un’agricoltura più sana e molto sulla strategia di vendita, fino a chi rivendicava un’appartenenza, come se fosse una religione. Per me viene prima di tutto la qualità del vino e ho lasciato per strada alcune tendenze che non mi convincevano più, tipo le macerazioni spinte”. Chi l’aggettivo naturale l’ha voluto fin nel nome del locale è Guido Cerretani che, insieme alla moglie Marta Gianotti e Francesco Agnello, ha dato vita a Enoteca Naturale, spazio dedicato esclusivamente a questa tipologia di vini e che ha trovato casa nei locali della sede di
Emergency di Milano. Un sodalizio non casuale, perché l’enoteca fa capo a una società benefit che ha obiettivi etici e sociali (tra questi l’inserimento lavorativo di migranti richiedenti asilo). Al punto uno dell’atto costitutivo si legge: “e/n si assicura che i prodotti venduti, somministrati ed esposti provengano da imprese che hanno un impatto positivo sia sociale che ambientale”. Mai scelta fu quindi più ‘naturale’. “Un colpo di fulmine – racconta Cerretani – scoprire che c’era un modo alternativo di bere, io che venivo da una generazione addomesticata a bere vini figli di un’enologia invasiva. Mi piaceva l’assenza di blasoni e di liturgie vecchio stampo. Anzi, era un movimento dissacrante”. A Gino Strada, il fondatore di Emergency, il progetto piacque perché – come ricorda Cerretani – vide nel prodotto vino gli elementi dell’intrattenimento e dell’accoglienza. Di vini sbagliati capita di acquistarli, Cerretani non lo nega, ma la forza di questa parola, a suo dire, sta proprio nella ricerca, quasi disperata, di trovargli delle alternative: “Più ci si prova – sorride l’enotecario – più il termine ‘naturale’ prende forza”.