È lo chef con più stelle Michelin d’Italia e il primo al mondo ad averne ricevute quattro in un colpo solo. Si tratta di Enrico Bartolini, classe 1979 e originario di Castelmartini (Pistoia).
Dopo il diploma all’Istituto Professionale Alberghiero F. Martini di Montecatini Terme, Bartolini si perfeziona all’estero, tra Parigi e Londra, per poi tornare in Italia sotto la guida di Massimiliano Alajmo. Seguono diverse esperienze tra l’Oltrepò Pavese e la Brianza, che gli permettono di conquistare molteplici riconoscimenti, ma la piena consacrazione avviene con il trasferimento dello chef a Milano, dove nel 2016 apre il ristorante Enrico Bartolini al Mudec – Museo delle Culture. Ed è proprio nell’anno in cui vede la luce la sua creatura che Bartolini riceve ben quattro stelle in un colpo solo, fatto mai avvenuto prima nella storia: due al Mudec di Milano (a cui poi si aggiungerà la terza nel 2019, rendendolo, ad oggi, l’unico tristellato della città); una a Bergamo, dove ha inaugurato il Casual Ristorante; e una a Castiglione della Pescaia, nel cuore della Maremma, per La Trattoria Enrico Bartolini presso il resort L’Andana, di cui ha preso in gestione la ristorazione. A queste stelle, si aggiungono poi le due al Glam di Venezia, situato dentro Palazzo Venart (luxury hotel di proprietà della catena Ldc Hotels & Resorts); quella alla Locanda del Sant’Uffizio all’interno del Relais Sant’Uffizio (sempre di Ldc Hotels & Resorts); e quella assegnata dalla Guida Michelin 2021 per il ristorante Il Poggio Rosso, presso il Relais & Chateaux Borgo San Felice nel Chianti Classico.
Ad oggi, quindi, Enrico Bartolini conta sei ristoranti premiati dalla Rossa per un totale di nove stelle. A questi, si aggiungono le recenti aperture di Anima e Vertigo all’interno dell’hotel Milano Verticale | Una Esperienze, di Horus nel contesto del resort Miramare The Palace a Sanremo e le collaborazioni con Skelmore Hospitality per i locali Roberto’s di Dubai e Abu Dhabi e con Dining Concepts a Hong Kong per i ristoranti Spiga by Enrico Bartolini e Fiamma.
Da quest’anno, inoltre, lo chef ha iniziato a collaborare con il Petra Segreta Resort & Spa, affiancando l’executive chef e patron Luigi Bergeretto in cucina disegnando i nuovi menù, con particolare attenzione a quello de Il Fuoco Sacro, il ristorante gourmet aperto anche agli ospiti esterni.
Il 2022 segna anche il debutto di Bartolini in televisione: lo chef sarà infatti uno dei giudici di ‘Celebrity chef’, nuovo programma di Alessandro Borghese.
Come è andato il 2021 per le insegne firmate Bartolini?
L’anno si era presentato molto difficile all’inizio e il periodo fino a giugno è stato caratterizzato dall’intermittenza del lavoro e da diverse paure. Poi la stagionalità è stata discreta, non tanto in termini di volumi, anche se le richieste erano comunque tante, quanto più per ciò riguarda la qualità. Da un lato c’era la voglia delle persone di uscire e venire al ristorante, dall’altro noi siamo stati attenti a seguire e mettere in pratica tutte le disposizioni necessarie.
All’estero siamo presenti a Dubai e Hong Kong e in quest’ultima c’è ancora il lockdown serale e la situazione generale è molto difficile, anche se lo è da sempre se ripensiamo alle proteste degli ombrelli gialli. Nel complesso, è stato un anno turbolento che non rispecchia ancora una normalità. Speriamo nel 2022 di poter riprendere il ritmo.
Quali sono i ristoranti che hanno performato meglio?
I luoghi stagionali hanno avuto la stagione corta: è iniziata un po’ dopo rispetto al consueto ed è finita quando abbiamo deciso noi. Il fatto di non aver avuto un debutto di stagione lento ci ha permesso di mantenere il costo dell’investimento. Da un lato questo è stato migliorativo ma dall’altro, per i nostri collaboratori, non lo è stato. Realizzare certi numeri, a cui non si è abituati, a certi livelli comporta un team di persone più numeroso e il rischio di essere scoordinati è alto.
Nonostante le difficoltà, è riuscito a mantenere tutte e nove le stelle…
È motivo di molto orgoglio. Quest’anno ci eravamo detti che lo stato d’animo era la prima cosa da recuperare e l’investimento più grande era trovare maggiore identità. Nei momenti di incertezza bisogna infatti concentrarsi sulla qualità. In questo senso posso quindi citare il gran lavoro svolto dall’executive chef Gabriele Boffa insieme al restaurant manager Francesco Palumbo alla Locanda del Sant’Uffizio. Allo stesso modo, al Casual di Bergamo lo chef Marco Galtarossa ha sfruttato i momenti in cui c’era meno lavoro per preparasi al meglio e affinare di molto il messaggio.
A Milano lei è l’unico a vantare un ristorante tristellato. Sente di avere una qualche responsabilità nei confronti della ristorazione milanese?
Le responsabilità sono le stesse per tutti. A livello di messaggio ci si aspetta che sia un faro ma lo stile non è uguale agli altri, anche se credo che a Milano si mangi molto bene e che ci siano tante opportunità, in alcune strade addirittura troppe, ma è un bene che ci sia una così ampia offerta a disposizione. Le tre stelle erano un mio sogno ma non si è mai sicuri di realizzarlo finché non succede. Tante persone fanno un viaggio per venire a mangiare qui e la responsabilità è farle uscire soddisfatte. La cosa più bella è che tanti gourmet nel mondo fanno molta strada per andare in un tre stelle e poi colgono l’occasione per visitare i luoghi limitrofi.
Tra l’altro proprio il ristorante Enrico Bartolini al Mudec è stato appena ammesso a Les Grandes Tables du Monde.
Si è invitati da tre associati ed entrare a farne parte ti fa sentire premiato per il lavoro svolto. Anche se poi il premio più grande è la relazione che si ha con i colleghi. Essere ammessi dà infatti l’occasione di vedersi e condividere le gioie e i dolori di questo lavoro, così come dar vita a iniziative che hanno un peso internazionale.
La maggior parte dei suoi ristoranti si trova all’interno di strutture ricettive. È una scelta strategica?
No, le cose sono semplicemente accadute. Quando si sono presentate le occasioni le abbiamo discusse e poi il progetto ha funzionato. Non ho un brand che deve avere delle caratteristiche specifiche, dipende dall’opportunità.
Ha mai fatto delivery? Ci sono dei piani a tal proposito?
No. È un servizio che non si presta a tutti i locali. Diversi nostri piatti richiedono impiattamenti speciali e di conseguenza a casa non risulterebbero attraenti come al ristorante. L’ho fatto in un’occasione speciale ed è anche andata discretamente ma ci sono dei criteri che non combaciano, è tutto un altro mondo.
Dopo gli ultimi due anni è cambiata la domanda da parte dei consumatori e pertanto la vostra offerta?
Passando molto tempo a casa, le persone hanno sviluppato una maggiore cultura del cibo e, a cascata, se il nostro cliente è più competente a casa, la sua aspettativa è trovare ancora più attenzione anche al ristorante. E quest’ultimo, a sua volta, è stimolato a fare di più. La nostra ambizione è di dare il massimo e, a livello di team, di crescere. Dipendiamo strettamente da ciò che succede a tavola: io posso voler fare pesce ma se il cliente vuole la carne allora devo fare carne. Diversi cambiamenti sono stati innescati dalla televisione che ha indotto a parlare di più di cucina e ristoranti, e la cultura è aumentata. L’argomento più importante è la sostenibilità e i ristoranti ne sono ambasciatori. Certo, viviamo in un mondo molto attaccato al denaro e questo è spiacevole, perché spesso si associa il proprio valore a quanto si fattura, e a quel punto non si parla più di quanto si sta facendo. Alcuni Ristoratori non hanno l’ambizione di fare molto bene in termini di qualità, preferendo il volume d’affari e la marginalità. E questo vanto non rientra tra le mie prime necessità.
La scelta dei piatti è cambiata anche in base alla capacità di spesa?
La capacità di spesa non penso sia diversa. Ciò che credo sia cambiato è l’orientamento e il desiderio. Si parla di fare esperienze per quanto riguarda viaggi e hotel, e vale lo stesso per i ristoranti. Certo, ci sono ingredienti che post-Covid costano il 30-40% in più, come per esempio le chiocciole, e questo può incidere sui prezzi.
Come ricercate le vostre materie prime?
In città come Milano, dove c’è un giro più ampio di ingredienti, noi ricorriamo a degli intermediari per reperire le materie prime, ma il contadino e il mercato rionale sono speciali. Raccontiamo che facciamo ricerca, laboratorio, ed è la verità. Per avere certi tipi di ingredienti dobbiamo investire molto e dare supporto ai piccoli produttori come contadini e allevatori che sono il vero pane quotidiano e che sono quelli che risentono di più dell’aumento dei costi. Se questi non si specializzano ad alzare anche loro i prezzi faranno fatica a sopravvivere. È necessario poi che vengano sostenuti anche dalle istituzioni.
Anche lei riscontra difficoltà nel reperire personale qualificato?
Non mi aspetto di trovare personale formato, quanto più con carattere, che è ciò che conta di più. A volte lo si trova in persone molto giovani. In generale, però, ci servirebbe il 25% dei dipendenti in più che abbia fatto un percorso adeguato, perché non si può far saltare subito le posizioni, e quindi la gerarchia, per mancanza di alternative. Il rischio è infatti che si arrivi in ruoli apicali senza però avere le capacità necessarie, date dall’esperienza, per ricoprirli e per guidare correttamente il proprio team. C’è sempre stata questa mancanza ma ora ce n’è un po’ di più ed è dovuta anche al fatto che stando a casa in periodo Covid si è capito che la giornata può essere articolata in maniera diversa e di conseguenza le aspettative e le priorità sono cambiate.
Tra le questioni più dibattute c’è quella di conciliare meglio vita lavorativa e vita privata…
C’è una richiesta di lavorare meno ed essere pagati di più. Al Mudec abbiamo iniziato da un po’ a chiudere due giorni a settimana e siamo il più possibili attenti a gestire i cinque giorni in maniera ragionevole.