In Gran Bretagna, ristorazione e fitness prendono il posto delle boutique fashion nelle strade del lusso. Lo rivela uno studio Ldc-Local data company, riportato dall’inserto settimanale Affari e Finanza del quotidiano Repubblica, condotto per conto di PwC. Tale studio rileva come nel 2016 il saldo tra aperture e chiusure di negozi sia negativo, con 5.430 cessazioni d’attività contro 4.534 openings. La crisi del retail dipende innanzitutto dal calo dei consumi e degli scontrini medi per acquirente, in parte dovuto alla concorrenza delle vendite online, ma secondo lo studio saremmo di fronte a una vera e propria rivoluzione dei consumi che peserà non soltanto sul futuro delle città inglesi, ma anche delle altre città europee. In parte, ciò è già avvenuto.
I negozi di abbigliamento e accessori in Gran Bretagna sono infatti sostituiti sempre più da altre categorie merceologiche quali caffetterie, locali specializzati in centrifughe e succhi vari, palestre, venditori di sigarette elettroniche. La moda non è l’unica ad essere colpita. Nel 2016, sempre secondo Ldc, a fronte di 240 sportelli bancari chiusi, si sono registrate appena 44 aperture.
Negli ultimi tre mesi, secondo quanto riporta Affari e Finanza, le vendite al dettaglio della moda in Uk sono sempre diminuite, ed è la prima volta che accade dalla crisi del 2008 in poi.
Lo spostamento da fashion a food riguarda anche l’Italia. Lo ha affermato recentemente Matteo Percassi, intervistato da Pambianco Wine, sottolineando come il food sia parzialmente al riparo dall’effetto delle vendite online, che può colpire altre categorie di retail.