Il tesoro nascosto d’Italia sta cominciando a lanciare segnali ai cercatori d’oro, ovvero ai turisti. Dalla nuova edizione del Rapporto sul turismo enogastronomico italiano 2019, presentato ieri (lunedì 28 gennaio) a Milano presso la sede del Touring Club Italiano, emergono numeri emblematici sul peso che le esperienze del food and wine stanno iniziando ad avere nella scelta di un viaggio, con una crescita di interesse misurata dalla ricerca pari al +48% nell’arco di un anno e con un particolare incremento da parte dei millennials.
Ma ciò che appare più evidente nel rapporto firmato da Roberta Garibaldi, docente dell’Università di Bergamo, giunto alla seconda edizione e redatto sotto la supervisione scientifica della World Food Travel Association e dello stesso ateneo bergamasco, sono le potenzialità legate all’apertura al pubblico per le aziende specializzate nel cibo. Una potenzialità che si manifesta nel trasformare un luogo destinato esclusivamente alla produzione in un polo strategico per vivere delle esperienze, condividere foto e video, contribuire attraverso i social network a diffondere la conoscenza del marchio e, al tempo stesso, delle eccellenze italiane.
I dati del Rapporto 2019 dicono, in sintesi, che se nel 2016 le ricerche avevano evidenziato il 21% degli italiani in viaggio interessati a questo tipo di turismo, e se nel 2017 il dato era salito al 30%, nel 2018 siamo già al 45 percento. Aumenta al tempo stesso la fruizione di esperienze a tema enogastronomico, con il 98% dei turisti italiani che ha partecipato ad almeno una attività di questo genere nel corso di un viaggio compiuto negli ultimi 3 anni. E un particolare fascino deriva dalle esperienze di visita ai luoghi di produzione, a cominciare dalle aziende agricole (62%) che registrano un tasso di interesse maggiore rispetto alle cantine (56%).
“Per gli operatori del mondo agroalimentare – ha spiegato a Pambianco Wine&Food l’autrice del Rapporto 2019 – si aprono prospettive di incremento del fatturato grazie al turismo enogastronomico. È già accaduto nel vino, ora sta accadendo anche nel cibo che peraltro presenta problematiche non semplici da gestire nell’accoglienza, come quelle legate alle normative igienico-sanitarie. Bisognerebbe creare, all’interno delle aziende alimentari, dei percorsi per le visite tali da far assistere alla produzione senza essere presenti in produzione; percorsi sopraelevati da cui assistere alla produzione di formaggi o di cioccolato, scattare foto, per poi passare nei laboratori dove poter mettere le ‘mani in pasta’ insegnando i segreti del mestiere. Ci sono già esempi di aziende che hanno aperto le visite al pubblico, è il caso di Perugina con il suo museo d’impresa, uno dei più visitati d’Italia, o come Guido Gobino sempre nella produzione di cioccolato, senza dimenticare tra le attività più piccole la meat experience nella macelleria in Chianti di Dario Cecchini”.
Ma anche nel vino le cose stanno cambiando. Ed è sempre Garibaldi a raccontare come. “In genere, la visita è sempre stata considerata funzionale alla vendita e pertanto non veniva fatta pagare. Ora l’esperienza sta acquisendo valore di per sé. Ci sono realtà come Antinori, Ceretto, Tenute Lunelli, Castello Banfi, Ricasoli e molte altre che sono riuscite a costruire un modello su questo tipo di approccio, offrendo esperienze innovative e segmentate. Paradossalmente si può dire che oggi le cantine sono in grado di attrarre anche gli astemi, e perfino le distillerie iniziano a presentare risultati assolutamente importanti”.
C’è ancora molto da fare, come indica ad esempio la domanda inespressa di esperienze a tema da parte degli appassionati italiani. A livello complessivo, la differenza media calcolata dal Rapporto 2019 tra desiderio e fruizione si attesta intorno al 22% della totalità dei turisti e tende ad essere più accentuata per alcune esperienze: in particolare, la visita a fabbriche del cioccolato (in cui il gap tra desiderio e fruizione si attesta sul 54%), pastifici (39%) e viaggi enogastronomici di più giorni organizzati da un’agenzia (36%).