Roberto Selva, Chief Marketing & Customer Officer di Esselunga, player da 8,5 miliardi di euro di ricavi, racconta l’importanza di avere un approccio local nello sviluppo della rete di negozi. Il futuro della Gdo? passerà anche dall’e-commerce e dalle sue evoluzioni.
Con un fatturato di 8,5 miliardi di euro, 25mila dipendenti e 5,7 milioni di clienti, Esselunga è una delle principali realtà italiane della grande distribuzione. Il player, nato nel 1957 con l’apertura a Milano del primo supermercato in Italia, opera oggi attraverso una rete di 180 negozi tra superstore, supermarket e il nuovo format LaEsse. In occasione del secondo summit Pambianco – PwC dedicato al settore wine & food, Roberto Selva, chief marketing & customer officer dell’azienda, racconta quanto sia importante avere un approccio local nello sviluppo della propria rete e di come la situazione geopolitica attuale può influenzare i consumi.
Voi avete un rapporto molto forte con il mercato, come è la situazione visti gli aumenti dei costi?
Siamo in un periodo difficile. Veniamo da pandemia, guerra, inflazione. Inoltre erano anni che non vedevamo aumenti di materie prime così importanti, in primis l’energia della quale noi facciamo un uso veramente massivo avendo anche il centro produttivo della bakery, la lavorazione del pesce e della carne, la movimentazione logistica e la catena del freddo all’interno dei negozi. Aumenti molto importanti che ci preoccupano per quanto riguarda i margini. A ciò si aggiungono poi le problematiche sociali legate al reperimento del personale in quanto la gente ha cambiato il paradigma e la scala dei valori. Con la nuova ‘cultura dello yolo’ – ‘you only live once’ – fare la cassiera non è più l’ambizione di tutti ed è un problema che dobbiamo affrontare.
Lato consumatori, cosa accadrà?
Con l’inflazione a circa il 10%, che è tanto per prodotti che hanno un basso contenuto valoriale, alcuni consumatori tenderanno a deflazionare il carrello. Ma, tra qualche mese, quando l’energia avrà eroso il potere di acquisto di alcune categorie di consumatori, questi arriveranno a rinunciare all’acquisto e ciò significa entrare in una fase recessiva.
Negli ultimi anni avete aumentato i servizi aggiuntivi. Cosa c’è alla base di questa scelta?
La nostra è un’azienda centrica sul cliente quindi bisogna intercettare cosa vuole lui e come vuole acquistare. Uno dei primi pensieri è andato quindi sul format: sia nei superstore sia nel modello più convenzionale abbiamo creato diverse esperienze di spesa, per esempio mettendo in primo piano i freschi e freschissimi e considerando sempre i tempi di spesa del consumatore. In più abbiamo annesso i servizi a valore aggiunto digitali quali e-commerce, prenota e ritira e così via. Non c’è un modello migliore, ogni cliente ha una sua modalità e noi dobbiamo soddisfarla al meglio. Abbiamo inoltre sviluppato molto i negozi di prossimità con il format LaEsse, in quanto oggi la spesa sotto casa è un consumo importante.
Sempre a livello di servizi e prodotti aggiuntivi, fin dove vi espanderete?
Abbiamo logiche molto precise e cerchiamo di seguire un perimetro che sia sempre collegato al food & beverage, settore che rappresenta il nostro core.
Quanti punti vendita LaEsse avete attualmente?
Siamo a otto punti vendita e ne apriremo a breve uno a Roma dove una parte importante sarà dedicata all’enoteca.
Come si sviluppa il vostro approccio
al vino?
Negli anni ottanta il signor Bernardo Caprotti ha deciso di chiamare Luigi Veronelli per avviare un processo di modernizzazione di tutta questa sezione, e da lì è nata l’enoteca che rappresenta attualmente un importante pilastro di differenziazione all’interno dei nostri negozi. Oggi abbiamo circa 80 enoteche, 80 sommelier e mille etichette, e spaziamo in un range di prezzo che varia da qualche euro fino ai mille. Noi però vediamo il vino in un’ottica assortimentale e non verticale, per esempio immaginiamo che chi compra una bollicina voglia consumarla con un nostro panettone.
Chi sono i competitor più aggressivi?
Il mercato del food è molto locale e quindi abbiamo dei competitor specifici in ciascuna area geografica. Oggigiorno bisogna capire le logiche di ogni zona, entrare nel mercato con prodotti locali è fondamentale. A Roma, per esempio, dopo uno studio di oltre due anni, siamo arrivati a inserire oltre 670 fornitori locali per rispondere al meglio alle esigenze del luogo.
Come vede l’evoluzione del settore
wine & food nei prossimi anni?
Io vedo una grande opportunità per l’agroalimentare italiano, soprattutto a livello di esportazione. Il settore rimane però ancora un po’ piccolo e famigliare, troppo poco orientato ai dati.
A livello di e-commerce, qual è la Sua visione futura?
Nella mia visione vedo, da un lato, un mondo guidato dall’emotività con le persone che ancora vogliono recarsi in store per poter annusare e toccare con mano i freschi e freschissimi. Dall’altro, vedo un mondo orientato all’acquisto digitale di prodotti funzionali che si prestano a questa tipologia di spesa. Vedo inoltre nuove visioni di e-commerce, con diverse modalità: dal social commerce a TikTok fino al Metaverso, con il mondo virtuale che diventa realtà.