Il giro d’affari di Sebeto scende “apparentemente” di poco, da 149 a 147 milioni di euro nel corso del 2019, ma il dato dello scorso anno comprendeva il giro d’affari di Ham Holy Burger, ceduta ai fondatori Franco Manna e Giuseppe Montella. Di conseguenza, a parità di perimetro (quindi escludendo il brand dell’hamburger made in Italy), siamo in presenza di un incremento di circa il 3 percento like-for-like.
Oggi il gruppo controllato dal fondo OpCapita opera con quattro brand tutti focalizzati sulla pizza e sulle specialità napoletane: Rossopomodoro, Pizzeria Nazionale, Anema e Cozze e Rossosapore, quest’ultimo più legato allo street food. Il marchio ammiraglia è naturalmente Rossopomodoro, oggetto di una trasformazione sotto il cappello del claim “Come un giorno a Napoli”. Dall’agosto del 2018, quando fu avviato il locale pilota della nuova era a Milano, ci sono state ben 16 aperture tra novità assolute e ristrutturazioni. Prima del coronavirus, erano in programma altre tre aperture, due a Milano e una in centro Italia, che naturalmente sono slittate in avanti. La prima di Milano dovrebbe aprire poco dopo la fine del lockdown.
“Il piano prosegue, porteremo avanti il progetto iniziato 16 mesi fa”, racconta a Pambianco Wine&Food il ceo di Sebeto, Roberto Colombo. “Stiamo iniziando a metabolizzare lo shock, mettendo in cantiere tutte le iniziative legate al momento della ripartenza: comunicazione social, attività promozionale in store, sistema di loyalty e fidelity. Stiamo lavorando, anche se a distanza, insieme al marketing e alla comunicazione, per accompagnare le prossime aperture. Pensiamo che i clienti torneranno presto a frequentare i nostri locali, anche se nelle città turistiche dovremo mettere in conto un ritardo aggiuntivo. E qui dovremo rimediare stringendo accordi con i tour operator e con i gruppi”.
Sulla cessione di Ham Holy Burger, Colombo afferma che: “Il nuovo investitore aveva fin dall’inizio focalizzato la pizza come business di riferimento. Con la vendita, abbiamo valorizzato un asset e siamo diventati ancora più coerenti a livello strategico”.
All’inizio dell’emergenza sanitaria, Sebeto ha optato per la chiusura senza giocare la carta del servizio delivery perché, precisa Colombo: “Abbiamo preferito tutelare i nostri dipendenti, non volendo costringere nessuno a correre rischi. Inoltre il delivery, pur essendo cresciuto fino a raggiungere il 30% delle ordinazioni totali nella fase immediatamente precedente alla chiusura, da solo non sarebbe bastato per generare un attivo, considerando la struttura dei costi. A quel punto abbiamo preferito chiudere tutto. Ora stiamo cercando di capire se sia possibile riattivare un paio di presidi con consegna a domicilio, a Milano e Roma, più come segnale di ripartenza che come forma di business”, conclude il ceo.