A New York, nei dieci anni precedenti la pandemia, la ristorazione aveva aumentato del 61% i posti di lavoro, arrivando a sfiorare quota 318mila occupati. Una lunga marcia praticamente vanificata in pochi giorni, con la diffusione del coronavirus e le conseguenti chiusure.
Il dato di agosto, pubblicato nel report dello Stato di New York, evidenzia una perdita del 45% su febbraio 2020. Rispetto a marzo, considerato come il momento peggiore, c’è stata una parziale ripresa, ma sono ancora molte le insegne che non hanno riaperto, alcune delle quali in maniera definitiva.
I più colpiti dalla crisi sono i ristoranti di fine dining. Dei 15 locali con più di due stelle Michelin, soltanto due operano a pieno ritmo grazie ai posti a sedere allestiti all’aperto, mentre cinque sono rimasti chiusi e otto operano solo per asporto e delivery.
Il minimo occupazionale a New York era stato raggiunto ad aprile, con poco più di 91mila addetti in forze nella ristorazione. Da allora, il recupero è stata abbastanza consistente, raggiungendo quota 174mila addetti, ma certamente siamo lontani dagli oltre 300mila di febbraio.
I più colpiti sono i lavoratori di origine straniera. Nel 2018, il 44% della forza lavoro nella ristorazione newyorchese era formata da lavoratori ispanici e il 20% da asiatici, contro un 21% di bianchi e un 13% di afroamericani.
Le strategie dei ristoranti newyorchesi sono simili a quelle applicate in Italia. Il 43% dei ristoranti ha ottenuto la concessione per allestire i posti a sedere all’aperto, con punte del 50% per Manhattan e del 40% a Brooklyn e nel Queens, mentre la percentuale scende fino al 30% nel Bronx e al 20% a Staten Island.