Il brand è un valore e la sua tutela passa anche attraverso la repressione di fenomeni quali imitazione e contraffazione. Ci sono però casi in cui l’impiego di alcuni termini, ritenuto legittimo da parte dell’utilizzatore, può scontentare chi ha fondato la propria riconoscibilità sulle stesse parole. Due esempi arrivano dal vino.
Il lancio dell’Asti secco, salutato ad agosto dal quotidiano piemontese La Stampa come “un toccasana per i malanni del moscato piemontese” in tempi di magra per gli spumanti dolci, non è piaciuto affatto al consorzio del Prosecco. L’oggetto del contendere è la scelta astigiana di definire il prodotto come Astisecco, unica parola, che lo stesso quotidiano indicava come soluzione “per creare una maggiore assonanza con il Re Mida Prosecco”. Altrettanto secca è stata la replica dei trevigiani. “La questione ‘Asti Secco’ – afferma il consorzio di tutela Prosecco doc – dovrà essere gestita in modo da garantire che l’etichettatura della nuova tipologia di Asti non risulti in alcun modo evocativa della denominazione Prosecco”. I produttori veneti hanno chiesto e ottenuto un confronto con i loro colleghi piemontesi, con la mediazione di Federdoc, per affrontare la questione in maniera bonaria, ma è chiaro che un’eventuale resistenza della controparte avrebbe come conseguenza l’avvio di una procedura legale. “Il caso dell’Asti Secco, così come presentato dagli organi di stampa, diventerebbe un pericoloso precedente in grado di mettere in discussione l’intera attività di tutela da noi svolta in collaborazione con le autorità preposte” conclude il consorzio con sede a Treviso, che ha recentemente ottenuto il ritiro del marchio “Riosecco”, da parte di un’importante catena inglese, per un vino spumante brasiliano presentato come il Prosecco delle olimpiadi di Rio.
Ancor più clamorosa è la querelle che sta contrapponendo la Piaggio al conduttore di Porta a Porta, Bruno Vespa, che ha avviato un’azienda vinicola in Puglia (Futura 14, con brand Vespa vignaioli per passione) e, naturalmente, ha impresso il proprio cognome sulle etichette di vini quali ‘Rosso dei Vespa’ e ‘Bruno dei Vespa’. Il gruppo motociclistico di Pontedera contesta la decisione, sostenendo che il cognome del giornalista Rai si confonde con quello dei suoi scooter. A riportarlo è la prima firma del Corriere della Sera in fatto di vini, Luciano Ferraro. La notizia non è sfuggita ai quotidiani della Toscana che hanno interpellato, senza ottenere risposte, i vertici Piaggio. A parlare è stato invece Bruno Vespa, che al Corriere Fiorentino ha dichiarato: “Stanno trattando gli avvocati da molti mesi. Riteniamo di avere il diritto di chiamarci come ci chiamiamo, anche perché loro non producono vino e noi non produciamo scooter quindi è difficile che si possano confondere, che uno entri per comprarsi una bottiglia ed esca con un motorino”.