L’Italia del vino ha sorprendentemente aumentato l’export nei primi quattro mesi dell’anno. Tuttavia, sulla base dei dati forniti dall’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, c’è stato un primo bimestre super e un secondo bimestre negativo, probabilmente destinato a ripetersi in modo anche più grave per il periodo maggio-giugno.
Nel complesso, andando a misurare le performance a valore del periodo nei top 10 Paesi importatori e che valgono il 50% dell’export italiano di vino, c’è stata una crescita del 5,1% rispetto al 2019 ed è stata possibile grazie alla performance degli Stati Uniti, primo mercato di destinazione, che sono cresciuti di oltre il 10 percento. In particolare, le esportazioni italiane nel mercato Usa erano decollate (+40%) nel primo bimestre, a seguito dei massicci acquisti nel timore dell’applicazione dei dazi all’import. Molto positivo anche il Canada, cresciuto nel periodo gennaio-aprile del 7 percento.
Da marzo in poi, ha iniziato a pesare l’effetto Covid-19 e il lockdown della ristorazione estera. E ad aprile è stato un profondo rosso. Si va dal -5,2% (a valori) del Giappone al -12,5% degli Usa (+6,8% gli sparkling), dal -26% della Svizzera al -48% della Cina, per un deficit complessivo sull’anno precedente del 7,2 percento. È andata ancora peggio ai francesi, che hanno lasciato sul terreno oltre il 22 percento. Per gli italiani, nel mese di aprile, gli unici Paesi chiusi in positivo sono stati il Canada, ancora una volta in grande ascesa (+20%), la Russia e la Corea del Sud.
Nei prossimi mesi, secondo l’Osservatorio, la crisi peserà ancora su un bene voluttuario come il vino, alle prese con un minor potere di acquisto della domanda, oltre allo smaltimento dell’invenduto nella ristorazione e nei magazzini degli importatori. Senza considerare il trend della domanda Ue ad aprile, che si preannuncia con un segno negativo più marcato.
“I dati di aprile – ha detto il responsabile dell’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini – parlano di un mercato made in Italy che ovviamente cala ma sembra rispondere alla crisi in maniera più efficace dei propri competitor. Il mancato crollo nel mercato statunitense, complici i dazi aggiuntivi sulla Francia, la maggior presenza del prodotto tricolore nella gdo d’oltreoceano, un miglior rapporto qualità-prezzo, assieme all’ottimo risultato in Canada, rendono meno amaro il calice italiano in tempo di Covid-19”.