Quasi mezzo milione di bottiglie in più ogni anno. Ecco come si traduce la discussa estensione dei vigneti a Barolo. Una decisione presa dal consiglio del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani non senza qualche opposizione, a partire da quella del presidente Matteo Ascheri. “Io ero contrario – afferma Ascheri – ma l’1% non cambia niente”.
Prima di entrare nel merito del contendere, è bene ricordare che la Docg di Barolo conta su circa 2.200 ettari suddivisi in oltre 1.200 proprietari per 400 aziende vinicole. Superficie che nel 2022 ha prodotto poco più di 14,5 milioni di bottiglie: tutte vendute, o quasi, ma non sempre al giusto prezzo. Ed è su questo campo che si è consumata la discussione. Dialettica però, è bene precisare, che ha dovuto tenere conto di come i 22 nuovi ettari all’anno approvati per il prossimo triennio, per un totale di 66, in realtà non saranno proprio nuovi. A potersi fregiare del nuovo status, per regolamento, potranno essere solo vigneti già esistenti al primo luglio 2022, che siano coltivati a uva nebbiolo, condotti preferibilmente in regime biologico e che siano nelle disponibilità di imprenditori agricoli professionali.
Non solo, perché l’eventuale assegnazione non andrà oltre il mezzo ettaro pro capite. “Abbiamo voluto evitare impianti nuovi e sconclusionati”, ha spiegato a Pambianco Wine&Food lo stesso presidente del Consorzio, aggiungendo che: “La nostra intenzione è anche quella di evitare speculazioni, perché la zona del Barolo è come una barriera corallina, basta poco per danneggiarla”.
Un pacchetto che, nella sostanza delle cose, non inciderà quasi per nulla sui bilanci dei grandi produttori, molto di più per i piccoli, considerando che quel mezzo ettaro può valere circa 3.500 bottiglie.
Il problema, semmai, e tornando alla discussione, è a quanto verranno vendute quelle bottiglie. Per Matteo Ascheri: “Il punto è proprio questo, è inammissibile vedere delle bottiglie di Barolo sotto i dieci euro, qui c’è un problema che va dalla vendita del vino sfuso agli imbottigliatori”. Questione di non poco conto, perché come sottolinea Lorenzo Tersi, fondatore e amministratore delegato di LT Wine & Food Advisory: “Interessa uno dei prodotti portabandiera dell’Italia, quella di allargare le maglie della superficie vitata doveva essere l’ultima cosa da fare”. Questo perché, sottolinea il manager: “Il Barolo non è un vino popolare e per questo deve rispondere alle regole del posizionamento a cui appartiene e che è sacro, cioè quello dei prodotti evocativi”. Non solo, continua Tersi: “Considerato l’appetito internazionale di vini italiani, e penso anche ai négociant di Bordeaux, bisognerebbe preoccuparsi di aumentare il valore del raccolto, cosa che per altro si ripercuoterebbe positivamente sui bilanci di tutti”.