Il giro d’affari del Parmigiano Reggiano dop fa gola, anche agli investitori, che però si trovano di fronte a un mondo e un prodotto troppo artigianale e che richiede una presenza diretta nella filiera per trasformare le opportunità in reddito. A sostenerlo è Riccardo Deserti, direttore del consorzio di tutela di un formaggio simbolo del made in Italy nel mondo e il cui maggior nemico restano, naturalmente, le imitazioni e contraffazioni.
Innanzitutto, il Parmigiano Reggiano sta vivendo da tre anni un momento favorevole. “Il sistema produttivo – racconta Deserti a Pambianco Wine&Food – esprime aumenti nell’ordine del 5% annuo. Contrariamente alle precedenti fasi storiche, durante le quali a un aumento produttivo si accompagnava un calo del prezzo una volta terminato il ciclo di stagionatura, oggi anche le condizioni appaiono remunerative, perché il prezzo aumenta e il mercato assorbe il prodotto. In Italia i consumi si sono consolidati, nonostante l’aumento dei prezzi, e all’estero, intanto, l’incremento medio annuo è del 6-7 percento”. Ciò comporta che, a fine anno, il giro d’affari della dop dovrebbe arrivare attorno a 1,35 miliardi di euro per salire oltre i 2,5 miliardi calcolando il valore al cliente finale. “Si tratta di un caso unico, considerando che parliamo di una monoreferenza frutto di una lavorazione artigianale”, commenta Deserti.
Il successo attuale del Parmigiano Reggiano, secondo il Consorzio di tutela, è la conseguenza degli investimenti sul brand e sul posizionamento di prodotto. La comunicazione della qualità intrinseca ha spinto molte catene estere della grande distribuzione a differenziare l’offerta, inserendo diverse stagionature e anche prodotti cru, ad esempio il formaggio ottenuto dal latte di singole razze (come l’ormai celebre Parmigiano Reggiano delle vacche rosse, ndr). “Negli Stati Uniti – sottolinea Deserti – ci sono realtà come Whole Foods, acquisita da Amazon, che hanno selezionato il Parmigiano Reggiano come unica referenza nella loro offerta di formaggi duri. Si tratta di un modello che puntiamo a replicare in altri Paesi e con altre realtà della distribuzione”.
L’export peraltro oggi genera il 40% circa del fatturato con Stati Uniti, Francia e Germania sui tre gradini del podio con quote abbastanza simili tra loro, davanti al Regno Unito. Non sfonda invece la produzione bio: pesa soltanto per il 3% e dopo anni di crescita, oggi c’è il rischio che le forme da allevamento biologico non ottengano la remunerazione adeguata.
Il Parmigiano Reggiano fa gola, data anche l’immagine di prodotto altamente qualitativo, ma non è un formaggio da investitori finanziari. “Si tratta di un settore artigianale fino al midollo e non è facile da approcciare come investimento finanziario”, avverte Deserti. Diverso è il discorso per quanto riguarda i big del mondo caseario. “I grandi gruppi stanno acquistando ditte di confezionamento e caseifici, per essere presenti e avere il controllo della filiera nella dop. Ciò determinerà un aumento della capacità di penetrazione commerciale, e in prospettiva sarà un bene, a patto di tenere la barra fissa sulla qualità”.