Con i suoi 12.512 ettari, l’Oltrepò Pavese è un’area estremamente vasta che comprende ben sette denominazioni, ognuna con storia a sé. Qui si produce il 65% del vino lombardo ed è presente la più grande superficie vitata a pinot nero (2.800 ettari) in Italia e la quarta in Europa (dopo Champagne, Borgogna, Languedoc): il 75% del pinot nero italiano viene infatti da qui.
“La produzione si attesta su 72 milioni di bottiglie, ultimo dato al 2021, comprensivo di Dop e Igp”, spiega Carlo Veronese, direttore del Consorzio Oltrepò Pavese. “Il vino più prodotto è la Bonarda (circa 15 milioni di bottiglie), ma la stella polare è il Pinot Nero, prodotto sia in metodo classico Docg (e che vedrà un cambiamento del disciplinare per qualificarsi ancor meglio come punta d’eccellenza), sia in rosso”. Sostanzialmente, spiega Veronese, il territorio viaggia a due volocità: da una parte il Metodo Classico Pinot Nero, il Pinot Nero, il Buttafuoco, la Barbera e il Riesling che stanno crescendo a livello di numeri, di prezzo e di notorietà. Dall’altra parte Bonarda, Sangue di Giuda e Barbera frizzante con un andamento molto altalenante e prezzi bassi. Il giro d’affari si attesta a grandi linee sui 140 milioni di euro, un ettaro di vigna in produzione vale circa 35-45mila euro. La Gdo assorbe circa il 60% della produzione.
“L’Oltrepò Pavese – continua Veronese – unisce i racconti di zone con antica tradizione vinicola e storicità in un unico, grande areale. Il nostro punto di forza è anche il nostro punto di debolezza: avere tante denominazioni che comprendono vini che vanno dall’aperitivo al dolce”. D’altro canto, “la nostra estensione rende difficile l’identificazione territoriale con un unico vino. La volontà del consorzio per il futuro è di attuare una riorganizzazione tra le Doc e le Igt e anche all’interno delle singole Doc, con la possibilità di una futura ridenominazione di queste ultime”.
Il futuro rilancio dell’Oltrepò passa anche da Terre d’Oltrepò (650 soci per circa cinquemila ettari, fatturato di 28,2 milioni al 2022), la più grande cooperativa della Lombardia che vale attorno al 50% della produzione dell’Oltrepò Pavese. L’amministratore delegato, Umberto Callegari, operativo da luglio 2023, ha già dato una sterzata: “La cooperativa che ho trovato era arretrata e inefficiente, ma stiamo lavorando per aumentare la marginalità attraverso la produzione di bottiglie (lo sfuso era circa l’80%, ndr), per remunerare gli agricoltori adeguatamente (da 47 euro al quintale si è passati a 52, con l’obiettivo di arrivare a 55), di attrezzarci per operare efficientemente e poi puntare al servizio, diventando un centro di pressatura anche delle altre cantine del territorio”.
L’OLTREPÒ PAVESE METODO CLASSICO DOCG: IL FARO DELL’AREA
La produzione di Oltrepò Pavese Metodo Classico rivendicata nel 2022 è 521mila bottiglie ma a detta di tutti i produttori intervistati il futuro passa da questa Docg, vertice della piramide qualitativa. Ballabio, storica azienda spumantistica acquisita dalla famiglia Nevelli nel 1987, si è specializzata nella sola produzione di Metodo Classico, distribuito per il 90% in Horeca e 10% in e-commerce. La crescita a livello di fatturato nel quinquennio è stata del 10% di media all’anno, con un export del 10% verso il solo Giappone. “L’Oltrepò – afferma Mattia Nevelli, titolare insieme al padre Filippo – dovrebbe concentrarsi sul Metodo Classico e sul Pinot Nero, anche per aumentare il percepito di qualità sull’areale”.
Dello stesso avviso è Giorgi, azienda che produce 960mila bottiglie (di cui 160mila di Metodo Classico), esportate per il 28% in 58 Paesi. Con un fatturato nel 2023 di circa cinque milioni di euro, i suoi canali distributivi sono per il 70% Horeca, 20% Gdo e 10% online. “Il Metodo Classico è il futuro dell’Oltrepò”, afferma l’AD Fabiano Giorgi. “Strategicamente dovremmo aumentarne la produzione per alzare la massa critica e far crescere l’immagine dell’Oltrepò soprattutto fra i consumatori. Il percepito qualitativo fra intenditori è chiaro, purtroppo non altrettanto fra gli appassionati di vino”.
L’azienda Bruno Verdi si estende su 12 ettari e produce 90mila bottiglie, con un fatturato 2023 di 750mila euro e una crescita annuale del 5 per cento. L’export conta il 25%, mentre nel mercato domestico l’Horeca vale il 75% e la vendita ai privati il 25 per cento. Settima generazione a capo dell’azienda, Paolo Verdi produce il suo primo Metodo Classico nel 1981. “Ricordo – spiega Verdi – che in quegli anni eravamo appena una diecina di aziende a produrlo. Il primo metodo classico italiano nasce nel 1865 in Oltrepò, se pensiamo alla Svic e poi alla Cantina La Versa, potevamo essere la zona più importante per questa tipologia e invece siamo stati serbatoio per altre denominazioni. Per il futuro vedo la barra dritta sul Pinot Nero”.
PINOT NERO, POTENZIALE DA VALORIZZARE PER RAGGIUNGERE L’ECCELLENZA
Ottavia Giorgi di Vistarino di Conte Vistarino (azienda con radici nel 1964) ha sempre creduto nel Pinot Nero tanto da avviarne un progetto cru dedicato nel 2009. Qualche numero: 150 ettari, con una produzione di 200mila bottiglie destinate per il 30% all’export e suddivise nel mercato domestico per il 55% in Horeca, 30% in Gdo e 15% nella vendita diretta. Il fatturato nel 2023 è di 2,5 milioni, con un aumento del 10% rispetto all’anno precedente. “Sono partita – afferma Ottavia Giorgi di Vistarino, alla guida dell’azienda dal 2016 – dal Pinot Nero, prodotto ora in cinque etichette, perché credo che sia l’espressione più vocata della mia azienda. è stato fatto un lavoro certosino, che mira a valorizzarlo e a raccontarlo attraverso un territorio ideale per questa varietà”.
Il Pinot Nero rappresenta “il valore aggiunto” per Tenuta Travaglino, come afferma Cristina Cerri, quinta generazione al timone della cantina insieme al fratello Alessandro. “Ci investiamo perché fa la differenza, grazie ai terreni, alla longevità, alla sua trasversalità. La denominazione ha ancora molta strada da fare, per quantità, qualità e posizionamento di mercato”. Tenuta Travaglino produce 150mila bottiglie da 80 ettari vitati, destinati per il 10% all’export. Nel mercato domestico, invece, il 74% va in Horeca, il 16% in Gdo e il 10% viene venduto online. Il bilancio previsionale 2023 si chiude su 1,5 milioni, con un incremento del 22 per cento.
In Oltrepò sono arrivate ad investire aziende come Berlucchi, Masi, Tommasi e Zonin1821. Anche i Cordero, provenienti dalle Langhe, nel 2019 hanno acquisito un’azienda. Tenuta San Giorgio si estende su 45 ettari, con una produzione di 80mila bottiglie (di cui 46mila di Pinot Nero) destinate solo all’Horeca, con un export al 35% in 20 Paesi. Il fatturato 2023 è attorno ai 900mila euro con un incremento del 23 per cento. “Abbiamo scelto l’Oltrepò – racconta Caterina Cordero, titolare insieme ai fratelli Francesco e Lorenzo – proprio per il Pinot Nero, che è il nostro focus. Ne produciamo quattro etichette, di cui due da cru. Abbiamo cercato l’espressione del Pinot Nero di queste zone, che reputiamo vocate e con un potenziale ancora inespresso”.
A OGNUNO IL SUO
L’azienda Quaquarini produce una notevole varietà di vini (Bonarda, Buttafuoco, Moscato, Barbera, Pinot Grigio, Riesling, Metodo Classico, Ughetta di Canneto, Pinot Nero, Sangue di Giuda) con una produzione di 550mila bottiglie su 60 ettari, destinate al 40% in Gdo, 30% in Horeca e 30% in vendita diretta. “Ho sempre mantenuto tutte queste tipologie – spiega il titolare Umberto Quaquarini – perché la nostra è una realtà viticola variegata che offre una diversità di vini legati alla tradizione agricola e al nostro territorio, che ha una pluralità di terreni. Forse proporre tanto assortimento non è vincente, ma è parte della nostra storia. E quel che più conta è che per ogni varietà c’è un canale di appassionati. Prendiamo il Sangue di Giuda, per esempio, dagli anni Settanta lo vendiamo con successo soprattutto all’estero”.
OSPITALITÀ ED ENOTURISMO IN OLTREPÒ
Prime Alture nasce con l’idea di creare un resort, ma ben presto Roberto Lechiancole si innamora del territorio e si mette anche a produrre vino: 10mila bottiglie su 10 ettari, solo per il mercato italiano, destinate al 90% in Horeca e per il 10% in vendita diretta. Il resort è strutturato con suite, servizi wellness, piscina, ristorante circondato da boschi e vigne. “Sto progettando – racconta Lechiancole, titolare insieme alla figlia Simona – un wine village, destinato ai proprietari di lodge con vigna annessa, con l’obiettivo di creare un una comunità attiva di appassionati del vino e sviluppare anche una rete di comunicazione internazionale (il 60% dei clienti vengono dall’estero) attorno al Pinot nero”.
“Per noi sviluppare l’accoglienza – spiega invece Cristian Calatroni, titolare di Calatroni e terza generazione con il fratello Stefano – è stata un’esigenza economica: ci ha aiutato a fare i cambiamenti necessari. Se prima la gestione era casalinga, dal 2009, con la nascita dell’agriturismo, abbiamo alzato l’asticella con chef e personale dedicato non solo all’accoglienza ma anche ai rapporti con i nostri partner, considerando che il nostro format viene venduto da aziende terze per l’80 per cento. Non siamo un ristorante e non vogliamo fare concorrenza a chi lo fa di mestiere, infatti siamo aperti solo a pranzo. Il cliente sceglie un menu studiato in abbinamento con i nostri vini, imparando a conoscere la nostra realtà”, che ora si sviluppa su 30 ettari, con una produzione di 140mila bottiglie destinata solo al canale Horeca. Il format è vincente: l’accoglienza è cresciuta del 50% nel 2023, ma anche il fatturato, aumentato del 10%, attestandosi attorno al milione.
“L’enoturismo è un settore in forte espansione – spiega Francesca Seralvo di Tenuta Mazzolino – sia per la posizione strategica, vicina a Milano, Torino e Genova, sia per la bellezza del territorio, ancora inesplorato”. Tenuta Mazzolino, che possiede 20 ettari e opera con 100mila bottiglie, destinate per il 75% all’Horeca e per il 25% ai privati, con una capacità di export al 50%, ha chiuso un bilancio in crescita di circa il 14% (circa 900mila euro). “Abbiamo destinato una villa intera con 12 stanze, sala da pranzo e cucina per l’affitto in toto oppure per l’organizzazione di eventi”, conclude Seralvo.