Nel vino, il calo dei consumi c’è stato ma, per ora, non appare drammatico. Ad affermarlo è l’indagine ‘Gli effetti del lockdown sui consumi di vino in Italia’, realizzata dall’Osservatorio Vinitaly–Nomisma Wine Monitor su un campione di mille consumatori. Il risultato è che il 55% degli intervistati non ha modificato le proprie abitudini, il 14% ha aumentato i consumi e il restante 31% ha invece diminuito non solo il vino, ma anche la birra. La buona notizia, secondo il lavoro presentato nel webinar di Winejob/Lenardon dal responsabile di Nomisma Wine Monitor, Denis Pantini, è che gli italiani, compatibilmente con le disponibilità finanziarie, sono pronti a tornare alle antiche abitudini no appena avrà inizio la fase 2. Ovvero quando si apriranno le porte dei locali (bar, ristoranti, locali notturni) che per il 32% degli intervistati rappresentano i luoghi di consumo prevalente, percentuale che sale al 42% nel caso dei millennials.
E proprio la chiusura del circuito horeca rappresenta la causa principale del calo, per quanto contenuto, dei consumi, poiché il 37% afferma di consumare meno vino “perché non vado più in ristoranti e bar”, a cui va aggiunto un 10% che lega il calo al mancato rito dell’aperitivo.
“Per quanto il lockdown abbia cambiato modalità di acquisto e consumo di vino da parte degli italiani, il desiderio di ritornare ‘ai bei tempi che furono’ sembra prevalere sull’attuale momento di crisi e su comportamenti futuri che giocoforza saranno improntati ad una maggior precauzione e distanza sociale”, afferma Pantini.
Nel frattempo, i conti delle aziende italiane appaiono condizionati dall’assenza del canale horeca, che pesa particolarmente sulle aziende specializzate nelle spedizioni a bar e ristoranti. L’ottimo momento della grande distribuzione, che nel periodo del lockdown ha messo a segno un +11% delle vendite a valore (dati Nielsen), e il decollo dell’online, che comunque rappresentava solo il 3% del business complessivo, non riusciranno a compensare il sostanziale azzeramento del fatturato horeca, che in Italia genera, sottolinea Pantini, il 35-40% degli incassi complessivi del wine. “In prospettiva, si aprono tanti interrogativi legati alla effettiva ripartenza della ristorazione e anche alla disponibilità di reddito dei consumatori italiani. Ad ogni modo è ampiamente prevedibile che il bilancio del mercato interno sarà negativo”. Quanto all’export, da cui dipende un giro d’affari di circa 6,4 miliardi per il vino italiano (contro circa 7 miliardi di fatturato interno ex cellar), in questo momento non è possibile fare previsioni. “I dati esteri non lo consentono, essendo ancora fermi al primo bimestre ovvero alla fase pre emergenziale”, conclude l’analista.