“Oggi c’è un gran sole e abbiamo iniziato a vendemmiare lo chardonnay, quindi è una bellissima giornata”, afferma Innocente Nardi, presidente del Consorzio di tutela del Prosecco Superiore docg, giusto per sdrammatizzare al termine di un mercoledì non proprio sereno, nel corso del quale il suo telefono dev’esser stato tempestato di chiamate. La notizia della settimana, nel mondo del vino, è senz’altro quella dei primi disconoscimenti del nome che ha conquistato a livello internazionale i consensi del consumatore, del fenomeno più dirompente tra gli sparkling, del marchio collettivo che ha permesso all’Italia di crescere nell’export mentre la maggior parte dei vini tricolori perdevano quota: il prosecco, naturalmente. Un doppio disconoscimento avvenuto dopo che la Confraternita di Valdobbiadene si era detta favorevole a far sparire il termine prosecco dalle bottiglie e dopo il lancio di un comunicato di Col Vetoraz, azienda tra le più rappresentative della docg, che rivendicava di averlo fatto dal 2017 perché “la nostra immagine e la percezione della nostra denominazione – hanno affermato – è alienata dalla presenza di cinquecento milioni di bottiglie di prosecco generico privo di storia e di vocazione territoriale”. Il trait d’union tra i due episodi è identificabile nella figura di Loris Dall’Acqua, presidente della Confraternita e socio fondatore di Col Vetoraz. Il fatto ha dapprima innescato la reazione della doc presieduta da Stefano Zanette, il quale ha dichiarato ufficialmente: “La denominazione Conegliano Valdobbiadene docg ha tutto il diritto di decidere del proprio nome, ovviamente anche di rinunciare al termine prosecco. Quel che trovo inspiegabile è che nel fare questo passaggio tenda a denigrare il lavoro degli altri, della Prosecco doc in particolare, che invece ha lavorato con impegno e, dati alla mano, ne ha sostenuto lo sviluppo”. In tutto questo diventa molto delicata la posizione di Nardi e del Consorzio da lui presieduto, anche in considerazione dell’intervento del governatore Luca Zaia, il quale viene considerato il regista dell’operazione condotta in porto nel 2009 (con Zaia al Mipaaf) con l’estensione della doc a nove province tra Veneto e Friuli. Zaia peraltro è intervenuto a seguito degli ultimi fatti dichiarando: “L’appello ai consorzi è che si facciano sentire, perché rappresentano i produttori. È inaccettabile sentir dire che con il decreto del 2009 il prosecco ci ha rimesso”. E qui veniamo a Nardi. Partendo dalla prima domanda, quasi istintiva.
Presidente Nardi, come mai questo caso è scoppiato proprio adesso?
L’iniziativa di Col Vetoraz segue quella lanciata dalla Confraternita, presieduta da un socio della stessa azienda, e fa seguito alla pubblicazione delle ultime modifiche al nostro disciplinare. Come consorzio, avevamo preannunciato che una volta ottenute le modifiche con la valorizzazione della tipologia Rive, l’introduzione dello spumante Sui Lieviti e dell’Extra Brut, avremmo aperto una stagione ulteriore volta a dare valore e qualità al Prosecco superiore docg intervenendo sui tempi di immissione del prodotto nel mercato, sull’obbligatorietà di apporre un logo nella bottiglia e sulla distinzione nella comunicazione tra marchi territoriali e marchi private label. Credo che, su questo filone, sia stata colta l’occasione da parte di Confraternita e di Col Vetoraz per offrire un contributo sulla materia, che cerchiamo di interpretare secondo una logica costruttiva nella volontà di portare avanti una strategia basata sul valore.
Ma secondo lei avrà un seguito? Altri rinunceranno al termine prosecco?
Prima cosa: invito tutti ad abbassare i toni e a un approccio più costruttivo. Seconda cosa: occorre anteporre sempre l’interesse della denominazione rispetto alle logiche di marketing delle singole aziende. Detto questo, il tema della necessità di differenziarsi è certamente fondato. E come consorzio del Prosecco superiore di Conegliano e Valdobbiadene, sono anni che lavoriamo per comunicare in modo coerente e unitario gli elementi di differenziazione tra le denominazioni. Lo vogliamo però fare nel pieno rispetto dei ruoli che competono a ogni soggetto e senza incrinare il rapporto con gli operatori qualificati da un lato e con il consumatore dall’altro. Qualsiasi decisione possa essere presa, condivisa in larga maggioranza dai produttori, deve garantire un percorso di riconoscibilità e di logica.
Intende dire che un giorno potreste rinunciare, come consorzio, all’utilizzo del termine prosecco?
Chi conosce Conegliano e Valdobbiadene ha già dato per acquisito il termine prosecco. Quindi, in un futuro, ciò potrebbe accadere, ma dovrà esser fatto per gradi e certamente con un largo consenso, senza creare strappi e rottura rispetto alla nostra identità e percezione del prodotto. Ma se parliamo di oggi, il 92% dei produttori della nostra denominazione lo utilizza e non per imposizione, ma per scelta strategica aziendale. Perché il disciplinare stesso, fin dal 2009, permette di utilizzare i termini Conegliano o Valdobbiadene senza obbligatorietà di indicare il termine prosecco. Col Vetoraz quindi è una parte dell’8% che non lo utilizza. E allora mi chiedo dove sia la notizia.
Quindi cosa farete?
Continueremo a lavorare per far capire le differenze esistenti all’interno del sistema prosecco, la storia, gli elementi di valore della nostra denominazione. Ma se il 92% delle 90 milioni di bottiglie che produciamo viene venduto come Prosecco superiore, evidentemente la volontà di abbandonare la terminologia oggi non c’è.
Come commenta l’attacco alla svolta del 2009?
Qui occorre esser chiari: la modifica del disciplinare, con la creazione di doc e docg, ci ha permesso di tutelare il nome Prosecco, a vantaggio certamente dei produttori di Veneto e Friuli, ma soprattutto a vantaggio di quelli della docg. Se all’epoca i produttori di Conegliano e Valdobbiadene fossero stati contrari, non se ne sarebbe fatto nulla. È stata un’operazione necessaria per difendere il territorio da altri potenziali concorrenti che sarebbero entrati in campo da ben altri territorio. Con l’igt avevamo sostanzialmente il nemico in casa. Quanto alla docg, siamo passati in dieci anni da 52 a 90 milioni di bottiglie e abbiamo un potenziale di 105 milioni… Questi dati oggettivi si possono commentare soltanto in chiave positiva.
Tirerà le orecchie a Dall’Acqua?
Non entro nel merito delle scelte aziendali, ma credo che il confronto debba avvenire nei luoghi deputati ad affrontare questi temi ovvero nelle assemblee del consorzio, dove infatti il dibattito sul nome è stato più volte affrontato. Ed è necessario che l’interesse della denominazione venga prima del protagonismo aziendale.