Mentre il mondo del vino attende con preoccupazione l’esito del referendum sull’eventuale uscita della Gran Bretagna (terzo mercato per l’export italiano, con 745 milioni di euro incassati nel 2015) dall’Unione Europea, da Londra giunge la notizia che soltanto lo scorso anno in Inghilterra sono sorte 37 nuove aziende vitivinicole. Secondo una ricerca effettuata dall’istituto Uhy Hacker Young, questi nuovi ingressi portano a 170 il numero dei produttori di vino made in England entrati nel mercato negli ultimi cinque anni, favoriti dai cambiamenti climatici che oggi rendono possibile la maturazione delle uve a latitudini un tempo ritenute inadatte e anche dalla voglia dei consumatori britannici di non dipendere esclusivamente dalle bottiglie d’importazione.
L’interesse verso i vini inglesi non sarebbe peraltro limitato al consumo locale. Secondo il Defra (department for environment, food and rural affairs), l’export vinicolo sarebbe destinato ad aumentare da 3,2 milioni di sterline del 2015 a oltre 30 milioni del 2020, con punte particolarmente elevate per gli spumanti ottenuti dal blend di uve tipico dello Champagne: alla categoria sparkling appartengono infatti i due terzi delle bottiglie prodotte nel Regno Unito. Un altro aspetto che gioca a favore dei produttori britannici è l’attenzione del mercato verso le piccole produzioni a carattere locale, allineato in questo caso al fenomeno analogo in voga nelle birre, con il boom dei microbirrifici e dei consumi a km zero. “L’English sparkling wine – ha affermato James Simmonds, autore della ricerca – si sta imponendo sulle stesse tavole a cui sono destinati vini di denominazione protetta quali Prosecco e Champagne”.
Certamente sarà difficile per gli inglesi sostituire le bollicine italiane e francesi, perfino se al referendum del 23 giugno dovesse vincere l’opzione Brexit e se, come minacciato dall’Unione Europea, la conseguente ritorsione commerciale dovesse concretizzarsi in dazi applicati sui beni esportati da Londra, che a sua volta non starebbe certo a guardare. La Gran Bretagna è ben lontana dal traguardo dell’autosufficienza produttiva e continua peraltro ad aumentare le importazioni di spumante italiano, trainate dal Prosecco.
“Nel primo trimestre 2016 – spiega a Pambianco Wine il responsabile di Wine Monitor (Nomisma), Denis Pantini – le importazioni complessive di vino da parte della Gran Bretagna sono diminuite del 7%, mentre quelle di spumante italiano sono aumentate del 25% per un controvalore di circa 56 milioni di euro, di cui 33 legati al mondo Prosecco”. E se vincessero gli euroscettici? “La più probabile conseguenza – risponde Pantini – sarebbe una svalutazione della sterlina rispetto all’euro, che renderebbe più costosa l’importazione di vini europei, ma questo finirebbe per avvantaggiare il Prosecco rispetto allo Champagne, dato il rapporto qualità/prezzo favorevole del primo rispetto al secondo. Mi sembra più difficile ipotizzare ritorsioni commerciali o addirittura dazi all’import da parte britannica, considerando quant’è ridotta la produzione interna di vino. A vantaggio dell’Italia peraltro, oltre al buon posizionamento di prezzo, gioca la tendenza in atto nei consumi e totalmente favorevole al Prosecco”.