La ripresa dell’enoturismo è alle porte. Sebbene il Covid abbia segnato una forte battuta d’arresto, l’idea generale è che si tornerà presto, tra il 2022 e il 2023, ai grandi numeri del 2019: 15 milioni le visite e 2,65 miliardi di euro il giro d’affari, secondo il XVII Rapporto Città del Vino. Nel frattempo, il turismo del vino è stato costretto a riposizionarsi, appropriandosi di nuovi valori e stili, orientato sempre più verso gli spazi aperti: la cantina, il vino, l’ambiente, il paesaggio, il borgo, la piazza, la ristorazione, l’offerta culturale e per il tempo libero. In una parola: il territorio.
L’articolo è disponibile nel numero di giugno/luglio 2022 di Pambianco Magazine Wine&Food.
L’IDENTIKIT DELL’ENOTURISTA
Dalla nuova indagine dell’Osservatorio nazionale su turismo del vino di Città del Vino, curata nel 2022 da Nomisma – Wine Monitor, centro di ricerca italiano sul wine business, sotto la guida di Denis Pantini, emerge che il nuovo enoturismo è decisamente esperienziale, abbinando il vino alle altre risorse del territorio (79%), è digitalizzato (77%), predilige l’aria aperta (73%), ma è di breve durata (71%) e di prossimità (67%); però anche molto internazionale (66%), aperto alle nuove generazioni (59%) e sempre più al femminile (57 per cento). Oltre al valore produttivo, il vino costituisce dunque un grande attrattore per il turismo e rappresenta per il nostro Paese un asset di forte rilevanza per le zone vocate alla sua produzione.
ASSET STRATEGICO
Tra le aziende vitivinicole ad aver sempre fortemente creduto nell’accoglienza, c’è Banfi, fondata nel 1978 a Montalcino dalla famiglia italoamericana Mariani. Una tenuta di 2.830 ettari, di cui circa un terzo è coltivato a vigneto specializzato e il resto è ricoperto da boschi, olivi, susini, cereali e altre coltivazioni. Domina la proprietà il Castello di Poggio alle Mura, un complesso fortificato che dispone di una soluzione di accoglienza completa e articolata. “L’azienda è nata con una proposta di ospitalità inizialmente molto legata al mondo vino”, racconta a Pambianco Wine&Food Enrico Viglierchio, amministratore delegato di Banfi. “La grossa evoluzione è avvenuta verso la fine degli anni ’90, quando è stata ampliata l’enoteca ed è iniziato il progetto che, tra il 2000 e il 2002, ha portato all’apertura dei ristoranti La Taverna e La Sala dei Grappoli”. Tre ancora le date che definiscono la storia del castello: 2007, la prima stagione dell’hotel Il Borgo, con le sue 14 junior suite e suite; 2019, l’ingresso nel prestigioso circuito Relais & Châteaux, l’associazione che raggruppa hotel e ristoranti di lusso; 2021, l’attribuzione di una stella Michelin a La Sala dei Grappoli. Se l’albergo è operativo dalla terza settimana di marzo alla seconda settimana di novembre, “la stella Michelin – prosegue l’AD – ci ha aiutati ad allungare la stagione del ristorante, che resta aperto un mese in più durante il weekend. In questo periodo, è frequentato da una clientela differente, molto più locale”. Abitualmente, infatti, la tenuta attrae ospiti soprattutto internazionali, provenienti al 50% dal Nord America e al 15% da Brasile e Messico, mentre l’Italia vale circa l’8% e la rimanente quota è riconducibile a Nord Europa, Inghilterra, Germania e Svizzera. “Dinamiche completamente diverse dalle vendite di vino – precisa Viglierchio – in quanto il nostro primo mercato è l’Italia, che rappresenta un 35-40% a seconda degli anni, e la fetta rimanente è per metà Stati Uniti, per ovvi motivi di nascita della famiglia”.
Tornando all’hotel, la complessa situazione geopolitica non sembra avere intaccato le previsioni per la stagione in corso. “A livello di prenotazioni, alla data di oggi l’occupazione si mantiene intorno a un 10% in più rispetto al 2019”, anno chiuso a 5,5 milioni di euro per la parte di hospitality, su un fatturato totale di 69 milioni. Prospettive positive che sostengono gli obiettivi futuri. “Il nostro è un albergo diffuso. Abbiamo delle strutture limitrofe dove stiamo valutando l’ampliamento dell’offerta di ospitalità”, conclude l’AD.
Allo sviluppo delle proposte di accoglienza sta lavorando anche Palazzo di Varignana Resort & Spa. Cuore del progetto di hospitality, nato nel 2013, è Palazzo Bentivoglio, antica villa risalente al 1705 attorno alla quale sorgono altri edifici, a formare un piccolo borgo immerso nella cornice delle colline bolognesi. Nel dettaglio, il resort ospita 139 camere, cinque ville indipendenti, tre ristoranti, una spa di 3.700 metri quadrati con cinque piscine, un centro congressuale e spazi per eventi. “Al momento abbiamo cinque ville, la più lontana dista dal resort più o meno due chilometri e mezzo. A fine agosto arriverà la sesta, Santa Maria Maddalena”, rivela Simona Lollini, director of marketing, revenue & web distribution di Palazzo di Varignana, anticipando che per la settima struttura, Villa La Quercia, bisognerà attendere la fine del 2023. Un’estensione dell’offerta dettata dalla considerazione che, continua Lollini, “questi ultimi due anni hanno portato a un turismo più votato alla riservatezza”, tanto da ricevere un aumento importante di richieste per le ville. Il punto di forza? Gli ospiti che decidono di soggiornare nelle luxury villas possono godere della privacy assoluta, ma anche usufruire dei servizi dell’adiacente resort, dalla spa al medical center ai ristoranti. Nel tempo, infatti, il progetto di ospitalità si è esteso e articolato, incorporando nuove funzioni e attività. Tra queste, l’azienda agricola, che ha di recente svelato il progetto enologico avviato nel 2017 sotto la guida dell’enologo Giovanni Sordi con la messa a dimora dei primi vitigni. Ad oggi si contano 50 ettari vitati, per una prima produzione di quattro varietà di vini, tra cui due rossi senza solfiti, seguendo la tensione verso la naturalezza che caratterizza l’intera filosofia di approccio alla terra del resort. Fiore all’occhiello è la realizzazione di una nuova cantina semi ipogea, un luogo non solo di produzione e attesa per la maturazione dei vini, ma anche di conoscenza e condivisione.
“Il progetto agricolo e quello di ospitalità evolvono in parallelo – sottolinea la direttrice marketing -. Vogliamo andare oltre il concetto di resort e di esperienze agricole per proporci come una destinazione, un territorio da scoprire”. Quanto ai piani di sviluppo, annuncia Eleonora Berardi, sales manager Italian market – food division presso Palazzo di Varignana, “per diversificare la proposta, a metà settembre apriremo anche il nostro primo agriturismo. Nel 2023 sarà poi la volta di un quarto ristorante su cui stiamo ancora lavorando”. Al momento, il resort ne ospita tre: l’angolo culinario più sofisticato, Il Grifone; Aurevo, omaggio all’olio extra vergine di oliva prodotto in 150 ettari di proprietà; la trattoria Le Marzoline, che celebra la tradizione culinaria emiliano-romagnola. Con queste proposte, “il resort, intendendo sia il comparto rooms che il food & beverage e la convegnistica, copre più o meno l’80% del fatturato totale”, evidenzia Lollini. E se “il 2019 è stato un anno record, in cui abbiamo superato i 10 milioni di fatturato per l’hotellerie”, le aspettative per il 2022 “sono di una crescita double digit. Stiamo iniziando a ricevere diverse prenotazioni per l’estate e siamo a un 15-20% in più sull’on the book rispetto al 2019”, aggiunge.
Albergo più ville è una formula di successo anche per Borgo San Felice, il Relais & Châteaux a cinque stelle immerso nella campagna toscana del senese di proprietà del Gruppo Allianz. Nell’antico borgo medievale sono presenti 29 camere e 31 suite, oltre a piscina, palestra, campi da tennis, spa e, appena fuori, due ville che beneficiano di tutti i servizi dell’hotel. A deliziare il soggiorno, il ristorante 1 stella Michelin Il Poggio Rosso guidato da Juan Quintero, in collaborazione con il pluristellato Enrico Bartolini, che propone un menu incentrato sull’incontro tra i sapori artigianali locali e la tradizione gastronomica della Colombia, terra di origine dello chef. Completa l’esperienza culinaria la proposta di cucina tradizionale dell’Osteria del Grigio, dove è attiva la cooking school che offre agli appassionati l’occasione di cimentarsi in ricette toscane. “Dal vino al cibo attraverso il luogo”, sintetizza il general manager e maître de maison Danilo Guerrini. L’ospite, “un appassionato di luoghi autentici ed esperienze genuine”, può divertirsi con programmi diversificati che permettono di vivere appieno la campagna toscana: “tante attività all’aria aperta – racconta Guerrini -, dalle numerose proposte di degustazione della nostra Enoteca, alle esperienze ciclistiche, momenti dedicati al benessere fisico e interiore con i programmi della The Botanic Spa, cene sotto le stelle e pic nic tra vigneti o all’Orto e Aia Felice”. Tutto ciò, in un legame indissolubile con il territorio. “Gli itinerari enogastronomici hanno sempre più forza e presenza nell’immaginario dei nostri ospiti – aggiunge -. Dalla Route du Bonnheur del Vino toscana condivisa con altre Dimore Relais & Chateaux, ai percorsi ciclistici e podistici del Comune, la realtà San Felice è molto integrata nel Chianti”.
PATRIMONIO DIFFUSO
Dall’albergo diffuso, nella dimensione del borgo, agli alberghi diffusi su tutto lo Stivale. È il caso di Zonin1821, che conta sette tenute distribuite tra le sei regioni italiane a più alta vocazione vitivinicola, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Piemonte, Toscana, Puglia, Sicilia, a cui si aggiungono due tenute in territorio americano: in Virginia, negli Stati Uniti, e a Dos Almas, in Cile. “All’interno delle diverse tenute – afferma Briony Clark, head of marketing del gruppo da 198,5 milioni di euro di fatturato nel 2021 – l’attività di produzione del vino si affianca a quella delle degustazioni, delle experience e dell’ospitalità: opportunità complementari alla nostra offerta prodotto, che esprimono il ruolo di Zonin1821 nel trasmettere la cultura vitivinicola, promuovere l’educazione in questo settore, rispettare le diversità tipiche di ogni territorio e valorizzare i saperi locali”. Una proposta a 360° nella convinzione che “il ‘sapere-come-è-fatto’ favorisce le vendite in tenuta e nel periodo successivo anche la fidelizzazione del consumatore”. Perciò, ad esempio, nella wine farm toscana Rocca di Montemassi, in aggiunta alle degustazioni e alle esperienze estive, dalla passaggiata all’interno dell’area agricola alla visita al Museo della Civiltà Rurale, è possibile fermarsi a pranzare all’agriturismo e a riposare presso la struttura, mentre a Villa Marangole e Villa Crognole, le due dimore antiche che Castello di Albola offre per un soggiorno nel cuore del Chianti Classico, le opzioni variano dai tour guidati alla scoperta della cantina all’assaggio delle pietanze tipiche, al pernottamento con vista sulle vigne. “Una delle novità della stagione estiva – annuncia Clark – è l’accoglienza presso Principi di Butera (in provincia di Caltanissetta, nel territorio della Doc Riesi, ndr): da inizio luglio potremo iniziare ad accogliere gli ospiti per i loro rilassanti e suggestivi soggiorni siciliani”.
Prima regione in Italia per superficie viticola
sulle colline (65% sul totale) e seconda per viticoltura di montagna (5% sul totale), secondo i dati di Assovini Sicilia, risalenti al 2020, la Sicilia ospita da quasi duecento anni anche Tasca d’Almerita. Una storia oggi nelle mani di Alberto Tasca, ottava generazione della famiglia, che racconta come l’isola abbia sempre avuto “nella sua natura l’ospitalità come chiave relazionale”. Il territorio quanto l’azienda, che ha iniziato a strutturare il progetto di ospitalità nel 2001 a Capofaro, una scenografica tenuta sull’isola di Salina, dove i filari di Malvasia sono illuminati dallo storico faro del promontorio. “Struttura a cinque stelle con la formula boutique experience hotel”, precisa il CEO, Capofaro, dal 2017 membro di Relais & Châteaux, accoglie ventisette camere dotate di terrazza privata e offre esperienze fondate sul connubio tra vino e benessere, in armonia con la natura.
In tutto, sono oggi cinque le tenute che compongono il mondo Tasca, ognuna portatrice di una propria identità e di una vocazione enologica. Regaleali, casa della famiglia dal 1830, si estende per quasi 600 ettari e, come Capofaro, offre la possibilità di degustare, mangiare e dormire. Con una precisazione. “L’ospitalità, come la intendiamo noi, non è industrializzata in termini di numeri ma molto tailor made – sottolinea l’AD -. Abbiamo un approccio più proattivo che induttivo. L’obiettivo è mantenere l’esperienza più autentica possibile, aggregando, in veste di guide, persone appassionate del territorio e restituendo visibilità alle maestranze locali”. Ne è un esempio il percorso di visita proposto a tenuta Tascante, alle pendici dell’Etna, che inizia tra i lari di vite della Contrada Pianodario, in compagnia di una squadra di agricoltori, e prosegue verso il ‘sentiero della biodiversità’, alla scoperta della fauna che abita il territorio, per poi raggiungere il palmento, dove anticamente si pigiava l’uva.
Se allo stato attuale l’ospitalità pesa per un 10-12% sul fatturato del gruppo, Alberto Tasca si dice fiducioso che “possa crescere in numeri e arrivare a un buon 25% nel giro di tre-quattro anni”. È, infatti, in corso una ristrutturazione della parte turistica perché “è un settore in cui crediamo moltissimo sia per ottimizzare il patrimonio sia per riuscire a raccontare quello che facciamo”. Nel frattempo, “nel 2022 il fatturato hospitality dovrebbe arrivare intorno ai 3 milioni di euro”, mentre la proiezione a livello di gruppo è di 19 milioni, in crescita dai 17,8 milioni dell’anno precedente.