Il virus fa crollare, anche lontano dai centri situati in prossimità dei cluster più rilevanti del contagio, gli incassi dei locali pubblici e, di conseguenza, quelli delle aziende legate al fuori casa. A cominciare dalle multinazionali, come Diageo: il leader degli spirits ha lanciato nei giorni scorsi un profit warning, indicando una previsione di perdita di incassi superiore ai 420 milioni di dollari a causa della situazione creatasi in Cina. Lo stesso ha fatto Danone, che ha valutato in 100 milioni di euro i danni ricollegabili al coronavirus.
Venendo all’Italia, Fipe osserva in alcune aree un calo del fatturato degli esercizi pubblici fino all’80% e il presidente della federazione aderente a Confcommercio, Lino Stoppani, ha affermato: “Secondo le nostre stime rischiamo di perdere nei primi quattro mesi dell’anno una cifra pari a 2 miliardi di euro. A questo si aggiungono le difficoltà di quelle attività, come i locali di intrattenimento, che a causa delle ordinanze non possono operare. Se la situazione non cambia in fretta si parla di oltre 20mila posti di lavoro a rischio”.
Fipe plaude la scelta della Regione Lombardia di allentare le misure cautelative, eliminando le restrizioni sull’orario di chiusura per i bar e i pub che prevedono servizio al tavolo, e chiede il supporto del Governo per tutelare un comparto fondamentale per l’economia italiana. Le richieste sono allineate a quelle adottate in caso di calamità naturale: sospensione delle tasse, istituzione di un fondo di contributi per i titolari dei pubblici esercizi obbligati a sospendere le attività ed estensione del Fondo di Integrazioni Salariali per tutte le aziende del settore, “in conseguenza della riduzione dei flussi turistici e della forte contrazione della domanda interna”, precisa Stoppani.
All’effetto panico di casa nostra si sta sommando inoltre quello estero per i prodotti in arrivo dall’Italia. Emblematiche, in tal senso, le dichiarazioni rilasciate ad Ansa da Sandro Bottega, a capo dell’azienda trevigiana specializzata nel Prosecco e nei distillati, il quale evidenzia come la clientela estera stia chiedendo certificazioni di salubrità e ‘sanificazione’ dei suoi prodotti. Si sono bloccate di conseguenza (-85%) le spedizioni all’estero di vino e altri prodotti. “C’è un panico generale di tutti gli operatori italiani e esteri perché ho sede in Veneto”, ha affermato l’imprenditore.
A tutto questo, si aggiunge la più delicata tra le possibili conseguenze del virus ovvero la questione delle defezioni nel turismo, che genera 146 miliardi di euro e rappresenta il 12% del pil italiano. L’Italia è finita nella lista delle nazioni “sconsigliate” da diversi governi e il debooking è arrivati ai massimi dell’80% su Milano, mentre per la Riviera romagnola si temono conseguenze ancora più rilevanti. La stima “prudenziale” di Federturismo è di una perdita a livello nazionale di cinque miliardi di euro, che peserà non solo sugli hotel ma certamente anche sui conti di ristoranti, bar e locali pubblici.
Un segnale forte arriva però da Milano, dove è stata costituita l’Unione dei brand della ristorazione italiana, con 114 adesioni tra i principali marchi e gruppi specializzati: ne fanno parte, tra gli altri, Briscola, Cioccolatitaliani, Panino Giusto, Old Wild West, Spontini, Rossopomodoro e i maggiori operatori del food delivery. L’associazione sta accompagnando sui social il video virale caratterizzato dall’hashtag #milanononsiferma e inoltre sta raccogliendo fondi che saranno devoluti come sostegno economico alle associazioni sanitarie e alle forze volontarie in campo.