Giappone a rischio per l’export di vino italiano. Il problema, in quello che rappresenta il sesto mercato estero di destinazione delle aziende vitivinicole per un giro d’affari 2014 di 153 milioni di euro, è legato a dazi e barriere doganali, che invece saranno ridotte per Stati Uniti, Cile, Australia e Nuova Zelanda. L’accordo Tpp recentemente siglato tra Stati Uniti e 11 Paesi dell’area pacifica faciliterà gli scambi di vino di alcuni competitor del “nuovo mondo” e potrebbe mettere in difficoltà i produttori europei, sottoposti a dazi compresi tra il 15 e il 20 per cento. L’allarme arriva da Unione Italiana Vini, che rappresenta più del 50% del fatturato nazionale nel settore del commercio vinicolo e l’85% dell’export. Domenico Zonin, presidente Uiv, lancia un appello al governo italiano. «Alla luce della conclusione di tale ambizioso accordo commerciale – dichiara Zonin – chiediamo con forza di pigiare l’acceleratore insieme alla Ue affinché sia il Ttip sia l’accordo bilaterale con il Giappone siano conclusi entro metà 2016, proprio per difendere le nostre denominazioni, il nostro territorio, le nostre tradizioni». Rispetto all’accordo bilaterale con il Giappone, sostiene Uiv, occorre trovare sintonia su tre punti nodali. Il primo riguarda le barriere tariffarie, che per i vini italiani sono ancora il 15/20% e Uiv chiede che vengano eliminate con l’entrata in vigore dell’accordo, senza periodi transitori come invece propone il Giappone, che punta a una vacatio di 7 anni giudicata insostenibile dai produttori italiani. Il secondo consiste nella protezione delle indicazioni geografiche, attraverso l’inclusione di una lista aperta delle principali italiane ed europee. Infine, nel riconoscimento delle pratiche enologiche (barriere non tariffarie), che dovranno essere in conformità con gli standard Ue e Oiv. «Se si considera che, con l’eliminazione dei dazi, esportando in USA si risparmierebbero fino a 600 mila euro all’anno – conclude Zonin – è evidente come sia stringente la definizione di questo accordo muovendosi in modo coeso, con una voce unica, per aumentare il nostro export e, allo stesso tempo, tutelare le nostre specificità».