Tanti solisti, troppa frammentazione, il prestigio delle grandi denominazioni regionali non basta più. Occorre voltare pagina per recuperare le perdite ingenti del 2020, in una regione che lo scorso anno generava 2 miliardi di giro d’affari nel vino
Il ruolo del Piemonte nello sviluppo della moderna enologia italiana è stato fondamentale: ha portato l’Italia ai vertici enoici, anche internazionalmente. Complessivamente la superficie a vigneto si attesta sui 46.700 ettari; l’85% della produzione enologica è costituita da vini a denominazione d’origine, di cui 18 docg e 42 doc prodotti da una ventina di vitigni autoctoni storici. Del territorio, plasmato dalla mano dell’uomo e modellato dal lavoro a contatto con la terra, ricordiamo il riconoscimento a Patrimonio dell’Umanità Unesco, datato 2014. Come sta vivendo questi momenti una delle regioni più blasonate d’Italia?
DUE MILIARDI PRE-CRISI
Piemonte Land è un consorzio di secondo grado, che raggruppa tutti i consorzi di tutela regionali riconosciuti dal Mipaaf (ben 14, l’ultimo dei quali si è aggiunto nel ‘19). Il primo caso nella storia vitivinicola italiana. “Siamo partiti nel 2011 con 6 consorzi – spiega Filippo Mobrici, attuale vicepresidente e presidente fino a luglio di quest’anno – e ci siamo attivati per la promozione internazionale, aiutando i consorzi più piccoli che spesso non hanno una struttura dedicata, per esempio ad accedere ai bandi Ocm e Psr. Non dimenticando però le fiere sul territorio e la collaborazione con tipicità dop del food piemontese. Teniamo presente che il comparto del vino piemontese valeva pre-crisi 2 miliardi di euro, per metà generati dall’export, con 18mila aziende con partita iva. Abbiamo dimostrato nel tempo che facendo squadra, con azioni mirate e concrete, attraverso un corretto uso degli equilibri e dando visibilità a tutti in modo dilazionato, si potevano raggiungere obiettivi importanti. Negli anni ci siamo un po’ trasformati, diventando un interlocutore politico per la regione e nel futuro puntiamo a rafforzare questo ruolo per poter sintetizzare al meglio le esigenze del comparto, dato che le raggruppiamo in un’unica struttura, ambasciatrice del vino italiano nel mondo, e come tale richiediamo sostegno e strumenti per fare attività di promozione efficaci per il sistema vino Piemonte. I consorzi hanno compreso l’importanza del lavorare insieme. Credo che se non ci sarà un secondo lockdown il comparto reggerà, a fronte di un probabile danno economico del 20-30%: non dimentichiamo che il mondo del vino viene dall’agricoltura e che è resiliente, abituato al sacrificio. Dobbiamo però continuare a comunicare, a mantenere vivo il desiderio di tornare nelle nostre terre e a non perdere posizione sul mercato internazionale”.
RINASCIMENTO A GAVI
La Scolca ha radici che risalgono al 1919. Cinquanta ettari, 700mila bottiglie, per il 70-80% esportate in 46 Paesi, con una costante crescita di fatturato che si assesta annualmente sull’8-10%. Chiara Soldati, quarta generazione (la quinta è comunque già all’opera), ha le idee molto chiare: “I cambiamenti causati dal coronavirus sono stati molti, noi abbiamo reagito già durante il lockdown, tenendo aperti i canali di comunicazione attraverso lo storytelling, i video, le degustazioni su zoom, cercando nuovi mercati, fornendo supporto ai nostri importatori e agenti, lavorando sul direct marketing, l’e-commerce e altro. Possiamo dire che, a fronte di una rassicurante storia centenaria, abbiamo mantenuto l’operatività in tutti i mercati di riferimento, alcuni hanno addirittura performato meglio del solito, quindi siamo rincuorati sia dal mercato sia dalla parte produttiva. A livello regionale dovremo stare più uniti, bisogna cantare in coro e non da solisti: il made in Italy esercita un fascino incredibile nel mondo. Io credo che assisteremo a un Rinascimento, forse anche per questo ho pensato a un nuovo vino che entrerà in commercio nel 2021”.
SOLO HORECA
I numeri di Ceretto? Venti milioni di fatturato nel 2019, 170 ettari di vigneti di proprietà, 4 cantine, 18 etichette, 150 collaboratori, circa 60 paesi d’esportazione, con una percentuale di vendita suddivisa equamente fra Italia ed estero, un po’ meno di un milione di bottiglie, con una crescita di fatturato stabile intorno al 7-8 percento. Roberta Ceretto, esponente di terza generazione, è la responsabile marketing aziendale. “Stiamo attraversando un periodo davvero imprevedibile – afferma – e dalla timida ripresa di giugno in Uk siamo cresciuti in modo esponenziale (da 5mila a 50mila bottiglie); a Roma vendiamo un 5% in più rispetto agli altri anni, anche Milano è cresciuta. In Langa poi, durante l’estate abbiamo lavorato bene con i turisti. Non operiamo on-line, forniamo solo le enoteche e il canale horeca, quello che è stato penalizzato di più, ma abbiamo cercato con i nostri agenti di star vicino al settore. La visione dell’azienda come una grande famiglia ci ha aiutato in un periodo così critico, abbiamo mantenuto rapporti solidi e amichevoli con i clienti, che ci hanno premiato. Possiamo stimare un 20% di calo rispetto al 2019, ma non siamo ancora alla fine dell’anno, e comunque siamo fiduciosi per il futuro”.
BAROLO ONLINE
Marchesi di Barolo è una storica realtà, con una produzione di circa un milione e mezzo di bottiglie, 100 ettari fra proprietà e affitto dal gruppo familiare e altri 100 da conferitori storici. Export al 55% circa, fatturato sui 15 milioni, crescita del fatturato intorno al 3% nel 2019. Gli Abbona nel 1929 acquistano le cantine dei Marchesi, quelle da cui tutto ebbe inizio, con Juliette Colbert. Con Ernesto Abbona siamo alla quinta generazione, ma la sesta, con Valentina e Davide, è già al lavoro da tempo. “In questi mesi estivi – spiega Ernesto Abbona, che è anche presidente di Unione Italiana Vini – stiamo recuperando un po’ il gap del lockdown con la vendita diretta in azienda. Noi siamo presenti anche con un 7-8% della produzione in gdo, e lavoriamo bene con l’on-line che è cresciuto molto. Non possiamo lamentarci, su tutti i mercati siamo in crescita di fatturato. Siamo quindi ottimisti per il futuro. Quest’anno avevamo previsto di intervenire sia nella sede storica, sia nell’azienda agricola, sia a Cascina Bruciata (azienda nel Barbaresco acquistata dagli Abbona nel 2016, ndr) per aumentare la ricettività, aspetto importantissimo per l’enoturismo. Rimanderemo all’anno prossimo, ma siamo convinti che la vocazione enogastronomica del nostro Piemonte richiamerà di nuovo tanti turisti, anche quelli oltreoceano, che purtroppo oggi ci mancano. Gli italiani hanno però riscoperto le nostre terre, mai come in questi mesi sono stati così presenti”.
ESSERE MULTICANALE
Mondodelvino è tra le prime 15 realtà italiane in ambito vinicolo, forte dei suoi 110 milioni di ricavi. Nato nel 1991, il gruppo produce oltre 55 milioni di bottiglie ed esporta in più di 60 Paesi del mondo. L’horeca vale il 30% del fatturato complessivo. Oltre alla sede di Priocca, ha due cantine in Piemonte, una in Emilia-Romagna e una in Sicilia. Il gruppo è cresciuto costantemente negli ultimi anni, con trend annuali che dal 5% sono arrivati anche al 12%. Uno sviluppo continuo che ha permesso di raddoppiare il fatturato negli ultimi 10 anni, mentre la crescita in produzione si assesta sul 15%. Enrico Gobino, direttore marketing del gruppo, descrive così la situazione: “È critica, come per tutti. Fortunatamente, presidiando diversi canali di distribuzione e diversi mercati, siamo riusciti in parte a colmare le mancate vendite nel canale tradizionale con la vendita online e con il canale moderno. L’estero oggi è quella parte di mercato che ci permette di compensare le perdite del mercato nazionale. Nel futuro crediamo siano necessarie misure strutturali per supportare il comparto agroalimentare in generale, che deve muoversi in modo coordinato con il turismo. Questi due ambiti sono intimamente collegati, non soltanto dal punto di vista economico, ma anche come veicolo promozionale e di marketing. Noi abbiamo ridimensionato tutte le attività promozionali, per aiutare i ristoratori a ripartire. Credo che si debba continuare ad innovare, nella proposta dei vini, nella promozione e nella sostenibilità della filiera. Si dovrà trovare il giusto connubio virtuoso tra digitale e reale”.