Alla fine, il bicchiere dell’export è mezzo pieno. Secondo le stime di Wine Monitor (Nomisma), le esportazioni 2015 del vino italiano sarebbero cresciute del 6% e il giro d’affari avrebbe raggiunto 5,4 miliardi di euro contro i 5,1 del 2014. Pur crescendo, il settore avrebbe mancato l’obiettivo di 5,5 miliardi che pareva oramai alla portata, come dichiarato anche recentemente dal presidente di Unione Italiana Vini, Domenico Zonin. Non è bastata dunque la crescita impetuosa degli spumanti, con 519 milioni di bottiglie prodotte lo scorso anno (+10%) e con un balzo del 13% sul versante estero grazie al traino del Prosecco (+29%): le bollicine made in italy hanno evidenziato un tasso di crescita triplo rispetto a quello relativo all’export mondiale dello sparkling, pari a +4,1%. Il freno è arrivato dai vini fermi, che continuano a rappresentare oltre il 75% dell’export complessivo, a cui si aggiunge il forte calo del prodotto sfuso, per effetto della minor disponibilità di prodotto e del pressing competitivo portato avanti dalla Spagna, protagonista di un balzo del 10% nei volumi a fronte, evidenzia Nomisma, di prezzi più bassi di un analogo 10%. “Ormai più di un litro su tre di vino sfuso commercializzato nel mondo è di origine spagnola” riporta Wine Monitor in una nota aggiungendo che un ulteriore sostegno all’export made in Italy è arrivato dalla svalutazione dell’euro su dollaro Usa e sterlina inglese, garantendo competitività e plusvalenze dai tassi di cambio ai nostri produttori. Crollano del 30% le vendite in Russia, senza prospettive di ripresa a breve termine, mentre in Cina il vino italiano fa segnare un incremento a due cifre, +15%, che comunque è nettamente inferiore alle percentuali messe a segno da Francia, Cile e Australia, che durante l’anno sono cresciute tra il 60 e il 120%.