Nella produzione, il food&beverage italiano sembra aver superato bene la crisi pandemica e, contro le previsioni negative dei mesi più bui, potrebbe aver messo a segno un sorprendente incremento dell’export. Mancano i dati relativi al Natale, ma l’analisi
dei primi nove mesi 2020 dell’Annuario dell’agricoltura italiana evidenzia una crescita di
quasi un punto percentuale, accompagnata da un calo di 4,4 punti delle importazioni. Questo rafforzamento oltre confine si somma al risultato altrettanto positivo delle vendite interne nei canali della grande distribuzione e dell’e-commerce. In generale, l’appeal del made in Italy del cibo appare ancora più forte grazie alla qualità dei prodotti, alla tracciabilità delle produzioni (dop economy) e alla loro sostenibilità, carta vincente per conquistare un consumatore sempre più attento, dopo il Covid, a quest’ultimo aspetto. Ed è rilevante il fatto che i big della nostra industria agroalimentare, da Barilla a Ferrero, abbiano messo a segno, proprio negli ultimi mesi, varie acquisizioni internazionali per aumentare il proprio peso nei mercati che contano, in particolare Usa e Gran Bretagna. Gli investimenti dei gruppi industriali trovano una corrispondenza in quelli dei fondi di private equity, che hanno mantenuto il faro puntato sul food e, in prospettiva, si preparano a rilanciare nella ristorazione, che è stato il grande loser nell’anno da poco concluso. Nell’articolo a loro dedicato, gli investitori concordano sul fatto che le attività di ristorazione rappresentano ancora un asset strategico e, non appena ci sarà chiarezza su un ritorno alla continuità delle operazioni, questo settore sarà oggetto di diversi deal. Il crollo del 2020 darà ulteriore spinta agli investimenti, perché i fondi avranno la possibilità di ottenere un ritorno consistente al momento dell’uscita. Alla fine, il Covid potrebbe aver costituito un passaggio di maturità per la validità dei format, alcuni dei quali hanno dimostrato capacità di adattamento alla nuova situazione. La vera novità potrebbe però arrivare dal fine dining, con l’ideazione di format che portano il nome degli chef e possiedono caratteristiche di replicabilità e conto accessibile. In questo modo, la prova pandemica verrebbe superata non solo dalla produzione, ma anche dalla ristorazione.