“Serve un piano Marshall per la ristorazione”, afferma Vincenzo Ferrieri, imprenditore di CioccolatItaliani e presidente di Ubri, l’associazione che raggruppa i format di ristorazione. Dopo le proteste, andate in scena in questi giorni e culminate con la presenza in 28 piazze italiane dei gestori di pubblici esercizi sotto la guida di Fipe/Confcommercio, arriva dunque il momento della proposta e delle idee da lanciare sul piatto, anche a seguito dell’approvazione del decreto Ristori, con importanti risorse destinate dal governo all’horeca, che però si teme possano essere utilizzate come sussidio più che con una logica di investimento.
Ubri ha quindi preso posizione. “C’è un presente guidato da un unico obiettivo: salvare quante più aziende è possibile. Per raggiungere questo obiettivo non bastano ristori a pioggia ma occorre lavorare su cassa integrazione, negoziazione sugli affitti e sulle commissioni delivery”, afferma l’associazione in una nota. Quanto al futuro, le complessità che si stanno aprendo sono tali da rendere vana l’efficacia di un piano di aiuti. Per questo, Ubri sta mettendo assieme alcune società di consulenza internazionale per arrivare a elaborare questa sorta di piano Marshall – anche se l’esempio più vicino a livello temporale è quello che ha portato alla nascita di Industria 4.0, uno dei più efficaci programmi di investimento nella storia recente per l’Italia – dedicato al mondo della ristorazione. “Perché la pandemia – precisa Ferrieri – ha fatto esplodere delle contraddizioni che già si erano presentate nella fase precedente”. Una su tutte: il contributo del delivery, sempre più importante come fonte di incasso ma insostenibile per quanto riguarda il peso delle commissioni.
L’associazione si pone come interlocutore e come soggetto in grado di elaborare il piano perché ha i numeri per farlo (comprende una trentina di imprese, con oltre 500 locali e più di 4500 dipendenti) e perché rappresenta alcune tra le aziende che negli ultimi 5 anni hanno ottenuto le migliori performance in ambito economico e finanziario (La Piadineria), velocità di crescita (Poke House) internazionalizzazione (Cioccolati Italiani), sostenibilità (Panino Giusto), digitalizzazione (Pescaria). Ferrieri pone così la questione: “Bisogna chiedersi sin da adesso qual è il settore della ristorazione che vogliamo fra tre anni. Un settore fatto di aziende virtuose dove non esista più il sommerso, con quote di investimento in ricerca e sviluppo senza precedenti, con un welfare aziendale che miri alla crescita delle risorse interne, una sostenibilità aziendale che punti al risparmio energetico e ad una sostanziale riduzione degli sprechi alimentari. Bisogna agire in modo rapido per evitare che la recessione generata dalla pandemia si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda dalla mancanza di aiuti strutturali che possono accompagnare il settore alla rinascita nei prossimi anni”. E richiama, oltre a Industria 4.0, i precedenti legati all’automotive e alle rinnovabili. L’associazione si dice pronta a finanziare un tavolo di lavoro composto dalle migliori società di consulenza internazionali e professionisti del settore, al fine di elaborare un documento da consegnare nelle mani del ministero dello Sviluppo Economico. “Uno Stato che non sollecita le imprese agli investimenti e non incita alla crescita, produce solo inerzia e rassegnazione. Nessuno si è mai ripreso così”, conclude Ferrieri.
Una proposta arriva anche da RistoratoreTop, agenzia di consulenza che lavora con 10mila ristoranti nell’ambito del marketing, della formazione e degli strumenti tecnologici per la ristorazione, che ha presentato un protocollo con sette azioni concrete da mettere in pratica per trasformare le conseguenze dell’ultimo Dpcm in un momento non solo di sopravvivenza, ma anche e soprattutto di crescita. I punti inseriti nel protocollo sono: “prima il ristoratore, poi i collaboratori”, liquidità, capacità di costruzione, trasformazione in grey kitchen, avvio di campagne di acquisizione clienti, effetto wow e fidelizzazione. L’ad di RistoratoreTop, Lorenzo Ferrari, ha affermato che: “Siamo stati trattati come untori. Ora siamo aperti a regime ridotto, fino alle 18, come se il virus non circolasse di giorno e non ci stupiremmo di fronte alla notizia di una nuova chiusura totale. Ebbene, in un frangente di questo tipo, forti dell’esperienza del lockdown primaverile, non possiamo fare altro che diventare antifragili”.