Continua il calo dei consumi di vino nella grande distribuzione italiana, in primis di rossi e vini comuni. Nel 2023 i volumi di vendita si sono infatti attestati poco sotto il miliardo di bottiglie (si parla di oltre 750 milioni di litri) per una contrazione del 3,1% (nel 2022 il comparto aveva registrato un calo del 6%). Di contro, aumenta il valore che oltrepassa i tre miliardi di euro, frutto di una crescita del 2,6% (contro il -2%, per un totale di 2,94 miliardi di euro, del 2022), che corrisponde a un prezzo medio al litro di 4,04 euro (+5,9 per cento).
Lo rileva l’Osservatorio Uiv-Ismea su base Ismea-Nielsen-IQ secondo cui i vini fermi hanno riportato un calo del 3,6% in volume (a 646 milioni di litri e con i rossi a -4,9%), registrando così l’undicesimo trimestre consecutivo con il segno meno, a fronte di un +2,2% a valore (2,3 miliardi di euro), con un prezzo medio al litro di 3,55 euro (+6 per cento).
Di contro, ‘tengono’ spumanti e champagne con volumi stabili (104 milioni di litri, +0,3%) “ma solo grazie ai ‘low cost’ Charmat non Prosecco (+7,1%) – afferma lo studio – senza i quali la tipologia virerebbe in negativo di due punti”. A valore, questa categoria mette a segno un +3,9% (741,7 milioni di euro), frutto di un prezzo medio al litro di 7,11 euro (+3,6 per cento).
Allargando lo sguardo fino al 2019, si nota che nei cinque anni i consumi hanno subito un calo dell’8%, pari a circa 100 milioni di bottiglie. Una flessione sospinta in primis dai vini fermi (-11%) e liquorosi (-19%) che si confrontano con il +19% degli spumanti, trainato da prosecco (+30%) e Charmat non prosecco (+42 per cento).
In questo scenario, si nota che, in termini di tipologia di vino, i Dop sono la categoria che cede meno (-2% sul 2019), con i rossi a -6% a fronte della crescita di bianchi (+3%) e rosati (+17%). Seguono gli Igt (-13%), dove i vini rossi riportano un -19%, e i vini comuni (-17%), con i rossi a -22 per cento.
I rossi, quindi, sono la tipologia a cedere di più in Gdo: tanti i cali in doppia cifra, e spesso oltre il 20%, per vini a marchio come la famiglia dei Lambruschi, i pugliesi (Salento Igt, Puglia Igt), i siciliani con Nero d’Avola Dop e Terre Siciliane Igt), il Cannonau della Sardegna, i piemontesi (Barbera e Dolcetto Doc), i veneti (Igt Cabernet e Merlot), i lombardi, con le Doc Oltrepò Pavese Barbera e Bonarda. Poche, invece, le “grandi Dop e Igt che tengono”, come Dop Montepulciano d’Abruzzo (-2%), Chianti (-3%), Rubicone Igt nella tipologia Sangiovese (+7 per cento).
La flessione si registra anche online, che vale l’1,5% del totale vendite in Gdo e retail. Rispetto al 2019, gli acquisti online valgono il triplo ma, dopo il picco Covid, gli ordini si sono progressivamente sgonfiati, fino a perdere il 21% sul 2021. Nonostante il calo, però, si evince un occhio più attento alla qualità: qui, infatti, il prezzo medio al litro è superiore del 61% rispetto agli acquisti in corsia e si comprano più Dop e Igt (il 75% del totale acquisti dei vini fermi) e spumanti (che online incidono per il 22% degli acquisti, contro una media complessiva al 13%).
E per quanto riguarda l’anno in corso? “Il 2024 non è previsto essere un anno di svolta”, afferma Paolo Castelletti, segretario generale di Unione italiana vini. “A livello congiunturale, la scarsissima vendemmia italiana sta avendo riflessi sul mercato dello sfuso, in particolare per i vini comuni, che registrano quotazioni record rispetto all’ultimo quinquennio. Si tratta di aumenti difficilmente riassorbibili a livello distributivo, anche in considerazione del fatto che le tipologie di vino più penalizzate nel 2023 sono state proprio quelle dei vini entry level”. A livello strutturale, “la richiesta dei consumatori va verso tipologie di vino più ‘moderne’, bianchi e spumanti in particolare (con un occhio di riguardo ai prezzi però), mentre sui vini rossi il calo volumico è da intendersi ormai acquisito, specialmente per tipologie storiche come i rossi frizzanti, anche in versione amabile, che hanno costituito l’ossatura dei consumi tradizionali del nostro Paese”.