Alla base c’è un investimento importante legato a un nuovo metodo produttivo, ma Giò Porro non si è accontentato di innovare il prodotto e ha accelerato nella rivoluzione dell’immagine dello stesso, arrivando a distribuirlo nelle boutique del gusto e puntando ora all’inserimento nel canale travel. Una mossa non facile, trattandosi di un salume che nell’immaginario collettivo si deve trovare al banco salumeria: la bresaola. Ora quella di Giò Porro la si trova anche da Eataly, Eat’s, Dufry e Globus.
Il prodotto è una novità poiché Metodo Zero, così è stata ribattezzata la Bresaola ottenuta con “zero presenza” di nitriti e nitrati nello stabilimento di Giò Porro ad altissima tecnologia per robotizzazione e sicurezza alimentare, è stata sostanzialmente introdotta nel mercato a ottobre. E oltre a conquistare le principali catene food italiane di alto livello, è iniziata anche l’esportazione del prodotto già affettato e confezionato in chiave prestige, dalla Germania alla Francia e la Svizzera, ed extra Ue i primi mercati conquistati da Giò Porro sono Emirati Arabi e Giappone. Nel mondo arabo, in particolare, si aprono evidenti opportunità di crescita perché la Bresaola, realizzata partendo da carni bovine, è uno dei pochi salumi concessi dalla pratica religiosa islamica.
Giò Porro è un ‘giovanotto’ di oltre settant’anni che, arrivato a un’età nella quale solitamente si opera sul consolidato, ha deciso di rimettere tutto in discussione, cogliendo l’occasione del ricambio generazionale per impostare una fase 2.0 della sua azienda valtellinese. “Al compimento del mio settantesimo compleanno – racconta Porro, appartenente a una famiglia di produttori di salumi fin dal 1893 – ho convocato i miei figli Andrea e Diego, due manager con esperienza internazionale, e ho spiegato loro che avevo intenzione di realizzare il sogno di una vita: produrre il miglior salume del mondo, con un nuovo metodo produttivo, naturale, senza nitriti e nitrati, in una manifattura ad altissima tecnologia”.
Il progetto ha richiesto tre anni di investimenti e ha portato alla nascita del concetto di “cru” applicato alla bresaola, partendo da carni bovine delle migliori razze mondiali, “perché più magre e sane”, sottolinea Porro, e alla loro trasformazione in totale assenza di nitriti e nitrati, “senza falsi sostituti vegetali, ma con una vera innovazione di processo scientificamente validata”. E mentre il padre studiava il metodo, i figli portavano avanti la rivoluzione del layout per riuscire a dare anche una diversa immagine del prodotto e del brand, in linea con il suo contenuto qualitativo. Ed ecco nascere l’assortimento composto dalle bresaole Rosè (da punta d’anca di razze europee allevate e macellate in Italia, con tanto di certificazione halal), Angus (solo razza Black Angus) e la preziosa Wagyu, dalla razza che in Giappone dà origine alla carne di manzo di Kobe (in questo caso proveniente da allevamenti in Oceania).
Il progetto che ha dato vita a Metodo Zero è stato realizzato anche grazie al team di ricerca della Stazione Sperimentale delle Conserve Alimentari di Parma, di cui lo stesso Giò Porro era stato componente del consiglio direttivo nella seconda metà degli anni ottanta.