“Il mondo è cambiato in maniera radicale e veloce”, afferma Salvatore Aloe, fondatore con il fratello Matteo di Berberè, brand che si è affermato piuttosto rapidamente nel panorama mondiale della pizza da degustazione. Il 2019 è stato un anno di grandi soddisfazioni per la società nata a Bologna e partecipata da Alce Nero. Il fatturato è cresciuto da 7 a 10 milioni di euro e anche il 2020, con la quarta apertura a Milano in zona San Lorenzo, pareva destinato ad altrettanta fortuna. Poi l’Italia è entrata in emergenza sanitaria e anche Berberè ha scelto la soluzione della chiusura totale delle sue attività. L’idea di tenere aperto in modalità delivery non ha convinto i fratelli Aloe, “per ragioni di responsabilità verso i nostri collaboratori e per tutelare la salute pubblica”, hanno commentato. “Se la chiusura si dovesse protrarre oltre le previsioni non escludiamo di farlo, perché stare senza incassi è difficile”, aggiunge poi Salvatore.
Cambiano leggermente i programmi, dunque, rispetto al piano iniziale di arrivare a quota 16 locali entro dicembre. In particolare, Berberè sta valutando una strategia wait and see per Londra, dove l’impatto, dati i costi, rischia di essere ancor più traumatico che in Italia. “Londra è consumante dal punto di vista della liquidità. Non vogliamo mandare a casa nessuno e non vogliamo rinunciare alla nostra attuale presenza (tre locali con marchio Radio Alice, nda), ma le nuove iniziative saranno accantonate per un tempo oggi non calcolabile”.
Quanto all’Italia, il piano di riapertura predisposto da Berberè ha due scenari: quello ottimistico per maggio e quello pessimistico/realista per giugno. “Non ci aspettiamo una ripartenza immediata, ci si impiegherà mesi prima di dimenticare lo shock del contagio. E lo stile di vita di noi tutti verrà condizionato da questa vicenda”, conclude Aloe.