Una doc a velocità variabile e in evoluzione, che punta sulle “menzioni geografiche”. Il Consorzio tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani (512 aziende vitivinicole) conferma un polso “irregolare” per l’area piemontese, che con quasi 10mila ettari di vigneti, 65 milioni di bottiglie (60 milioni nel 2017) e 180 milioni di fatturato porta in seno eccellenze di livello internazionale.
“Abbiamo 10 denominazioni con velocità diverse”, spiega a Pambianco Wine&Food il neoeletto presidente Matteo Ascheri. “Barolo e Barbaresco vanno bene, Langhe Arneis e Nebbiolo tengono, mentre il Dolcetto vive una fase difficile. Non ci si aspetta un prodotto fresco dal Piemonte e il nome stesso porta equivoci; si è puntato sulla localizzazione, con il Dogliani, ma la strategia non tiene nei numeri”.
Il Dolcetto non è remunerativo come il Nebbiolo, eppure i costi in vigna sono simili. E allora le zone del Barolo si stanno “nebbiolizzando”, con il Dolcetto espiantato per lasciar spazio al vitigno cugino – d’altra parte attirano le valutazioni stellari dei cru (significativo il caso del mezzo ettaro di Cerequio, pagato 2 milioni di euro) – oppure ai noccioli, cambiando il paesaggio.
Barolo e Barbaresco risultano pertanto trainanti assieme alla Barbera, che ha una domanda superiore alla produzione, ma il Consorzio punta ad un consolidamento. “Puntiamo – chiarisce Ascheri – a una manifestazione che unifichi gli sforzi sul territorio. Inoltre per il Barolo si lavora sulle menzioni geografiche aggiuntive (impropriamente dette Cru). Siamo partiti per primi in Italia e ci occuperà nei prossimi vent’anni, ma dovrebbe portare ad un rafforzamento della riconoscibilità”.
L’annata 2017 è stata critica, nonostante le montagne abbiano protetto i vigneti dalle bizze del clima. La vendemmia ha visto una perdita del 10/15% per Barbaresco, Dogliani, Dolcetto e Langhe, “mentre il Nebbiolo ha mostrato grande adattabilità e con la vendemmia precoce il quantitativo è stato regolare”, riferisce Ascheri. I mercati di riferimento sono Germania, Usa e Canada, anche se il presidente non nasconde preoccupazioni legate al dollaro debole e alla Brexit. La Russia e il Giappone sono mercati maturi, pur piccoli, mentre in Cina ci vorrà tempo per educare il consumatore, al di là degli ordini per puro prestigio.