È finita. Pace fatta e pietra sopra, si ricomincia con un nuovo spirito di dialogo e su nuove basi di collaborazione. Dopo otto anni di dispute si è concluso in questi giorni in Valpolicella il contenzioso legale tra le Famiglie Storiche (un’associazione nata nel 2009 dall’unione di 10 celebri cantine della Valpolicella e che oggi conta 13 soci: Allegrini, Begali, Brigaldara, Guerrieri Rizzardi, Masi, Musella, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Torre D’Orti, Venturini e Zenato) e il Consorzio di Tutela della Valpolicella.
L’annuncio è stato dato con un comunicato congiunto, in cui si dichiara che i due soggetti hanno definito “ogni contenzioso tra loro pendente, avente ad oggetto l’utilizzo della Docg ‘Amarone della Valpolicella’. Consorzio e Famiglie Storiche – prosegue la nota stampa – condividono l’obiettivo di agire, ciascuno per quanto di propria competenza, per lo sviluppo della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni della Valpolicella, favorendo un clima di equa competizione tra produttori, rispetto reciproco, collaborazione e dialogo; ribadiscono l’importanza della difesa della Docg ‘Amarone della Valpolicella’ e delle altre denominazioni del territorio e della loro promozione in Italia e all’estero, con l’obiettivo di favorire la loro conoscenza e di consolidarne il successo, nell’interesse di tutta la collettività”.
Tutto era iniziato anni fa. Stanchi di vedere sugli scaffali dei supermercati bottiglie di Amarone della Valpolicella Docg a prezzi considerati indecorosi per il prestigio del grande rosso e insoddisfatti dell’azione del locale Consorzio di Tutela, nel 2009 dieci grandi famiglie della Valpolicella (Allegrini, Brigaldara, Masi, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant’Antonio, Tommasi, Zenato) si erano riunite nell’associazione “Famiglie Storiche dell’Amarone d’Arte” per portare avanti una comune linea in difesa del vino di punta della denominazione. In particolare, le dieci aziende contestavano al Consorzio di aver favorito, proprio in un momento di crisi economica come quello del 2009, un aumento della superficie viticola e una diminuzione della percentuale di cernita delle uve da mettere in appassimento, portando di fatto a uno squilibrio nella crescita di offerta di Amarone.
Dotatesi nel 2010 di un logo composto da una grande ‘A’ e le scritte ‘Famiglie dell’Amarone d’Arte’ e ‘Amarone Families”, le Famiglie cercarono di registrarlo sia in sede nazionale che comunitaria. Le proteste dei colleghi produttori e del Consorzio non si fecero attendere: un simile bollino avrebbe indotto i consumatori a pensare che esistevano Amarone di serie ‘A’ (quelli delle Famiglie) e di serie ‘B’ (tutti gli altri). Il tentativo dell’associazione di registrare il marchio in sede sia nazionale che europea fu perciò impugnato dal Consorzio che nel 2017 vinse il ricorso presso il Tribunale di Venezia ma lo perse in sede europea. Due anni dopo, la Corte d’Appello accolse il nuovo ricorso del Consorzio, sancendo definitivamente il divieto di utilizzare la denominazione ‘Famiglie dell’Amarone d’Arte’ e la nullità del loro marchio, e bocciando anche la valutazione positiva precedentemente espressa dall’ufficio dell’Ue per la proprietà intellettuale.
Da quel momento in poi sulla vicenda calò il silenzio, ma i tentativi ufficiosi di riconciliazione tra le parti continuarono, fino al buon esito finale di qualche giorno fa.
Di Elisabetta Tosi