Vegetariani e vegani li si dà per scontati, ma il mercato dei prodotti plant based meat è alla ricerca di un target di consumatori molto più ampio per dare vigore a un business che, in Italia, vale quasi mezzo miliardo di euro.
Intanto una particolarità rilevante: il mercato plant based meat ha subito un’impennata per reazione a due fenomeni congiunti e correlati tra loro. Da un lato, il rischio salute dovuto a un consumo eccessivo di carne animale, dall’altro un forte impatto ambientale causato dagli allevamenti intensivi di bestiame accusati di sprigionare nell’aria una quantità enorme di gas serra (il 14,5% del totale secondo la Fao). Favorito da questa doppia criticità, l’alternativa vegetale ha preso dunque piede. I consumatori hanno iniziato a farsi vivi e oggi questo tipo di cibo non è più solo pertinente a vegetariani e vegani, ma ha catturato anche l’interesse dei flexitariani, ovvero coloro che prediligono modelli di consumo alimentare vegetale senza per questo rinunciare drasticamente a fonti proteiche di origine animale.
I numeri cominciano a dare peso e consistenza al settore. Oggi si stima che siano 22 milioni gli italiani che mangiano cibo plant based, come sostenuto da uno studio Astra Ricerche e Unione Italiana Food, aggiungendo che due italiani su tre lo consumano abitualmente e uno su quattro lo ha inserito nel proprio regime alimentare. Il giro di affari del comparto si è attestato su un valore di poco inferiore a 500 milioni di euro, con l’Italia che occupa il terzo posto nella classifica dei consumi in Europa. Nel segmento, il cluster ‘meat’ rappresenta il 25% e piace a molti, ma soprattutto alle nuove generazioni. “I prodotti a base vegetale sono la risposta a una precisa richiesta dei consumatori, espressione di un settore in grado di affrontare scenari sempre più complessi e che riunisce aziende italiane ed estere, generando valore e indotto per il nostro Paese”, ha affermato Sonia Malaspina, presidente del gruppo prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food. “I dati riportano un maggiore interesse e curiosità verso diete che integrano prodotti a base vegetale da parte di millennials (43%) e generazione Z (40%), contro il 37% dei consumatori tra i 45 e 57 anni e il 28% dei cosiddetti Boomers”. Si diceva poi dell’importanza dell’aspetto green di questa tipologia di cibo: “Per quasi la metà degli italiani i prodotti plant based sono amici dell’ambiente, poiché richiedono un ridotto impiego di risorse naturali e un minore impatto di emissioni”, aggiunge sempre Malaspina. “È un punto a favore della categoria, che spesso determina la scelta da parte di consumatori sempre più attenti alla sostenibilità dei prodotti che comprano”.
Ma la questione plant based è anche oggetto di dibattito politico, dopo l’approvazione da parte dell’attuale Governo del ddl sulla carne sintetica che prevede, tra l’altro, il divieto della denominazione di carne per prodotti trasformati contenenti proteine vegetali come mezzo per contrastare il fenomeno del meat sounding. La decisione legislativa (anche se non è stato ancora emesso alcun decreto attuativo, ndr) ha spinto l’Unione Italiana Food a esplicitare la propria posizione, specificando in una lettera inviata alla Commissione Europea che “i prodotti a base vegetale nascono da materie prime agricole tradizionali, che fanno parte da sempre della nostra alimentazione e che sono alla base della dieta mediterranea. Chi sceglie tali prodotti sa bene che sono molto diversi dalla carne, sia per peculiarità che per composizione”, auspicando quindi “un ripensamento delle disposizioni sul meat sounding, a garanzia delle imprese e dei lavoratori che operano in questo comparto, nonché della trasparenza nei confronti dei consumatori”.
In attesa di maggiori chiarimenti da parte delle istituzioni nazionali ed europee, il mercato plant based carne si muove con determinazione. L’offerta si arricchisce a vista d’occhio grazie alla crescita del numero di aziende coinvolte nella produzione. La sostenibilità è un tratto imprescindibile, come nel caso di Amadori: “Abbiamo da poco introdotto il pack 100% in R-Pet per le due referenze di impanati (Cotolette Veggy e Birbe Veggy) e presto lo estenderemo a tutta la gamma che si è appena arricchite con le nuove Polpettine Veggy”, rende noto Matteo Conti, direttore centrale marketing strategico dell’azienda con sede a San Vittore di Cesena. “Questa scelta è un ulteriore elemento valoriale, in quanto l’essere sempre più attenti all’ambiente è un fattore che sta molto a cuore al consumatore medio di prodotti vegetali”. Consumatore però ancora alle prese con le conseguenze di una spinta inflattiva che ha indebolito il suo potere di acquisto. “Per andare incontro a queste esigenze di portafoglio – aggiunge a tale proposito il manager – da fine marzo e per tutto il mese di aprile, stiamo effettuando un’attività di cash back su tutte le quattro referenze ‘Ama Vivi e Gusta’, sia nei punti di vendita fisici che negli shop online”. Tutte queste iniziative ribadiscono l’interesse che nutre l’azienda romagnola verso l’offerta plant based. Interesse ulteriormente confermato dal nuovo piano di comunicazione digital e social sulle pagine e profili Amadori, che segue gli spot tv dedicati alla gamma Veggy andati in onda a fine 2023.
Dalla Romagna all’Emilia, nel caso della bolognese Felsineo Veg l’innovazione per variegare i gusti detta i tempi di una gamma di prodotti che ha negli affettati vegetali le sue referenze più vendute. Si differenzia a livello organolettico, così come si agisce per dialogare con un target il più possibile eterogeneo. Questo, quindi, l’input per una realtà che nel 2023 ha fatturato cinque milioni di euro e che punta quest’anno a fare crescere i ricavi tra il 20% e il 30 per cento. Il focus poggia sulla linea Good&Green, composta da referenze di affettati vegetali con un apporto proteico non inferiore al 30%, una percentuale di grassi saturi dell’1% e zero colesterolo. Linea quindi prioritaria in termini di business, come conferma Andrea Righi, business director di Felsineo Veg: “Ci concentriamo sui best seller, come gli affettati al gusto di prosciutto crudo e prosciutto cotto, ma anche sulla linea Cereali&Legumi che prevede il lancio imminente della novità Good&Green Km Verde con Lenticchie Rosse dedicata a chi predilige sapori delicati. Non poniamo in secondo piano nemmeno la novità Good&Green Fitness al gusto di bresaola, prodotto ideale per un target sportivo e appassionato di fitness”. Si parla di prodotto, ma anche di packaging come leva strategica: “Abbiamo molte aspettative sul monoporzione Good&Green Toast, che può incentivare la prova prodotto da parte di nuovi consumatori”, dichiara il manager del gruppo bolognese.
Sulla trasversalità del consumatore tipo insiste anche Garden Gourmet. “Vogliamo sfatare il mito che il cibo vegetale sia solo per vegetariani e vegani”, chiarisce l’azienda che fa capo al Gruppo Nestlé. “Il nostro brand è per tutti e si posiziona come offerta premium a scaffale, grazie alla qualità delle materie prime e ai continui investimenti che facciamo in ricerca e sviluppo”. La marca dal 2017 ha un suo spazio consolidato in Gdo con referenze di punta quali Straccetti di Soia, Falafel di Ceci e Spinaci, Cotoletta Sottile e Cotoletta Spinaci. Il buon andamento nel canale moderno ha convinto il management di Garden Gourmet a seguire anche la via dell’Horeca e le sue varie declinazioni di format. “Sempre più persone quando sono fuori casa non vogliono rinunciare ad un’alternativa veggie”, conferma Garden Gourmet. “La tipologia di locali che propone plant based è eterogenea, dalle catene del foodservice ai bar e ristoranti multifunzionali che vogliono inserire una proposta inclusiva in pausa pranzo e aperitivo”.
Sembra un paradosso, ma per questioni di business non lo è affatto: una catena di hamburger classici a base carne può includere anche ricette vegetali. È il caso di Bun Burgers che ha due menu vegetali, uno firmato Beyond Meat che richiama la carne, l’altro plant based per nuggets e pollo. Nei due casi esiste la stessa versione cucinata con carne animale. Inoltre, si propone un burger stagionale, anche nella variante a base di proteine alternative, così come l’insegna sta studiando una serie di appetizer veggie da inserire nelle prossime settimane nei suoi menu. L’idea alla base è accontentare un identikit di cliente trasversale. “Sebbene i consumatori medi dei nostri burger plant based siano vegetariani e quindi motivati da ragioni etiche che li portano a evitare la carne – dichiara Simone Pescatore, brand generale manager du Bun Burgers -, abbiamo notato anche altre ragioni di questa scelta, ovvero per questioni di benessere alimentare, per il loro impatto sulla salute o semplicemente per curiosità culinaria”.
Anche il mondo delle piadine ha accolto il plant based. Il brand La Piadineria, per esempio, ha da poco introdotto nel suo menu la Supergreen, piadina farcita con straccetti 100% vegetali a base di proteine di piselli e marinati alle erbe e spezie. A produrli è Planted, azienda food tech svizzera. L’ingrediente viene quindi inserito nel rotolo della piadina con aggiunta di lattuga, pomodoro e maionese vegana. “Da tempo ricevevamo dai clienti la richiesta di creare una ricetta vegetale – ha spiegato la catena – e abbiamo quindi aperto l’offerta ai flexitariani. Chiaramente per il nostro format Supergreen resta una proposta verticale, ma questa preparazione ha suscitato interesse, con un riscontro in linea con le previsioni di vendita. Non escludiamo in futuro di aggiungere nuove soluzioni per una tipologia di consumatore in costante crescita”.