IL MERCATO è SATURO?
Non tutti gli operatori del settore, però, sono sopravvissuti. Negli ultimi due anni, infatti, il panorama italiano ha cominciato a dare segni di mutamento. A luglio 2022 Gorillas, startup tedesca nota per la consegna della spesa in dieci minuti, lascia il mercato italiano per poi, sei mesi dopo, essere acquisita dall’azienda turca Getir. A febbraio 2023 quest’ultima e Just Eat si alleano: l’accordo consente ai tre milioni di utenti di Just Eat in Italia di poter comprare anche i duemila prodotti in vendita su Getir. A giugno scorso il food delivery fa un’altra vittima: Uber Eats lascia l’Italia. Il servizio sbarcato a Milano nel 2016 decide di interrompere le operazioni nel Belpaese, per “obiettivi non raggiunti”. E ancora, tre mesi fa Mymenu, servizio di consegna a domicilio acquisito nel 2021 dal Gruppo Pellegrini chiude le porte, siglando un accordo commerciale finalizzato alla transizione dei propri clienti e ristoranti su Just Eat. Tuttavia, nonostante questa fotografia, “c’è ancora spazio di crescita e di penetrazione del mercato”, continua Pontiggia. “Il 75% degli abitanti italiani ha accesso potenziale all’offerta di cibo pronto a domicilio, però questa cifra corrisponde solo al 28% dei comuni italiani, quindi rimane ancora molto spazio di copertura”. Ci crede anche Just Eat. “Pensiamo ci sia ancora molto potenziale per Just Eat in quanto il tasso di utilizzo del food delivery in Italia, rispetto ad altri Paesi, è ancora tutto da scoprire”, dichiara Daniele Contini, country managing director di Just Eat Italia. “A dimostrazione di questo, negli ultimi sei mesi abbiamo ampliato il nostro servizio in 20 nuove città arrivando così a quota 44”.
In conclusione, “credo che il mercato sia saturo se prendiamo in considerazione il food delivery come occasione ‘flash’ per consumare un pasto”, aggiunge Stefano Manili, CEO e founder di Cosaporto, il servizio di delivery dedicato ai regali e alle occasioni speciali di privati e aziende nato nel 2017. “Quest’anno il food delivery B2c ha riscontrato diverse difficoltà, che si sono riflesse sul mercato con l’uscita di player che basavano il proprio business model sul numero di ordini, ma noi abbiamo una strategia differente. Offriamo prodotti di nicchia, ricercati, dove la spesa non avviene tutti i giorni e lo scontrino medio si attesta sugli 80-90 euro”.
IL FOOD DELIVERY SI APPROCCIA AL B2B
La strategia di Cosaporto punta sul segmento B2b. Negli ultimi anni, la sezione dedicata alle aziende Cosaporto4Business è passata da pesare il 40% sul totale del fatturato al 60%, ed “è in continua progressione”, racconta il CEO. La sezione business offre diverse soluzioni per le imprese tra cui catering (coffee break, light lunch, aperitivi) e regalistica per clienti e dipendenti. “I mondi B2c e B2b sono connessi tra di loro. Ad esempio, può succedere che un utente utilizzi i nostri servizi autonomamente per poi coinvolgerci anche in azienda, apprezzando il nostro posizionamento di alto livello”. Inoltre, per facilitare il lavoro alle imprese, Cosaporto ha sviluppato una parte, sia sull’app che sul sito, dedicata unicamente a loro. Per la divisione B2c, che copre il restante 40%, invece, “il nostro punto di forza è rappresentato dalle combinazioni che offriamo solo noi sul mercato”, come, per esempio, una torta (maggiore prodotto in vendita) che si abbina a una bottiglia di vino o a un mazzo di fiori. Il nostro cliente “non opera in verticale, ma in orizzontale, cerca i prodotti migliori per l’occasione e trova sulla nostra piattaforma l’intera proposta”. Un altro elemento “a nostro favore è l’importanza che diamo alla sostenibilità. Infatti, siamo anche società benefit”. Il servizio di Cosaporto è attivo nelle principali città italiane come Milano, Roma e Torino, a cui si aggiunge all’estero Londra. Tra i desideri di espansione dell’azienda ci sono altre capitali europee come Madrid e Parigi. A livello di numeri, per il 2023 Cosaporto stima un fatturato di 2,2 milioni di euro (1,6 milioni del 2022) e un giro d’affari complessivo pari a 4,5 milioni. Oltre a Cosaporto, a dedicarsi ad un servizio B2b ci pensa anche Deliveroo, con la proposta Deliveroo for Work. “Si tratta di un servizio dedicato alle aziende – commenta il general manager Sarzana – che consente a dipendenti e professionisti di utilizzare l’app per ordinare, da casa o dall’ufficio, un pranzo o uno snack. Nel 2023 il numero delle aziende clienti è aumentato del 25 per cento”.
DIVERSIFICAZIONE DELLE CATEGORIE
Discorso differente, invece, per la strategia di Glovo Italia che punta sulla diversificazione delle categorie merceologiche offerte. “Gli user sulla nostra piattaforma, oltre ad incrementare, utilizzano sempre di più anche categorie non food come beauty ed elettronica”, ha dichiarato Joaquín Vázquez, general manager Italia da settembre dello scorso anno. Infatti, anche se il food “rimane il nostro segmento di punta, non è quello che sta crescendo di più. Lo sono invece beauty e cosmesi, prodotti parafarmaceutici, elettronica e fiori. Vogliamo che i nostri clienti abbiano una scelta più ampia possibile”. Considerando il solo segmento food, nel piano di sviluppo del gruppo c’è la ricerca costante di una proposta culinaria ad hoc “per ogni città in cui operiamo, rispettando la cucina del posto. Dedichiamo molto tempo a questo aspetto, è complicato, ma è anche una bella sfida”. Un altro elemento di focus per Glovo è la sostenibilità. “Per ogni ordine che riceviamo, ne inseriamo una parte in un fondo che utilizziamo per gestire diversi progetti green, come ad esempio per compensare la carbon footprint”. Tutti questi elementi vanno a coronare un 2023 che Glovo stima di aver chiuso con una crescita di ricavi double digit e con 24 milioni di ordini (in Italia, a +16%) grazie anche ai partner, che “continuano a fare richiesta per operare con noi. Siamo arrivati a un totale di circa 30mila attori che lavorano con Glovo ogni mese”. A livello di investimenti il gruppo intende continuare con la propria strategia che prevede 200 milioni di euro da impiegare nel 2024.
I TREND DI CONSUMO
Il 2023 per Glovo ha evidenziato anche un nuovo trend: gli ordini programmati, che rispetto al 2022 sono incrementati del 14 per cento. Nello specifico, il servizio che gli italiani hanno pianificato più di tutti è la spesa che ha registrato una crescita del 118 per cento. In generale, il settore del food delivery “si basa sulle mutevoli abitudini di consumo dei clienti – aggiunge Contini, il country managing director di Just Eat -, sempre più orientate alla qualità dell’esperienza culinaria, alla sostenibilità e all’accessibilità del servizio. Noi di Just Eat abbiamo risposto a questi cambiamenti con la nuova vision ‘Empowering everyday convenience’, aprendo nuovi hub a Milano e Firenze, poli logistici pensati per i rider e lo staff a supporto del loro lavoro”. In Italia Just Eat opera con 28mila ristoranti partner in duemila comuni italiani. “A livello territoriale, vogliamo continuare ad aumentare la nostra capillarità non solo nelle grandi città, ma presidiando anche i piccoli e medi centri urbani”. Analizzando i maggiori trend di consumo a livello nazionale, Just Eat ha individuato piatti come la pizza, l’hamburger, le cucine giapponese e cinese, a cui si aggiungono un crescente interesse per la cucina vegetale, che ha registrato un aumento del 12% nell’ultimo anno, e il poke. Questo piatto hawaiano è in cima anche alle classifiche di Deliveroo, secondo cui, “considerando tutti i dieci mercati mondiali in cui siamo presenti, i maggiori consumatori di poke bowl si trovano in Italia”. A completare la classifica di Deliveroo, che collabora con 24mila partner tra ristoranti e supermercati, vi sono anche “l’hamburger, in particolare il Gran Crispy McBacon di McDonald’s di Milano che è stato il piatto più popolare sulla nostra piattaforma nel 2023 in Italia, e altri grandi classici della tradizione, come la pizza, la piadina, il pollo arrosto, e regionale, come le schiacciate dell’Antico Vinaio o i panini di Donato con Mollica o Senza, entrambi in esclusiva su Deliveroo”. Quest’anno, inoltre, “abbiamo fatto molto sul grocery, la consegna della spesa”, aggiunge Sarzana. “Oggi collaboriamo con alcuni dei più importanti brand della Gdo in Italia, con negozi indipendenti e botteghe artigianali. Contiamo di espandere ulteriormente questo segmento, che presenta grandi opportunità sul mercato nazionale”. Il servizio è presente in più di 1.500 città, tra le grandi e i centri di medie e piccole dimensioni. “Oltre a Milano e Roma, fondamentali per il business, ci sono altre località, come città nel Sud e nelle isole, che in questi anni hanno dimostrato di apprezzarci particolarmente”, conclude il manager.
RIDER A CONTRATTO
I lavoratori che effettuano consegne food a domicilio possono essere regolamentati da due tipologie di contratti: il Ccnl Assodelivery-Ugl Rider e il contratto aziendale. Il primo, utilizzato dalle piattaforme Glovo e Deliveroo, è stato stipulato da Assodelivery e dal sindacato Unione Generale del Lavoro Rider nel 2020 e regola il lavoro dei ciclofattorini qualificandoli come ‘autonomi’. In questo accordo sono garantite alcune tutele come “un compenso minimo di dieci euro lordi l’ora per una o più consegne, determinato sulla base del tempo stimato per I’effettuazione delle stesse”, e un premio di 600 euro in caso vengano effettuate duemila consegne all’anno. Just Eat, invece, ha implementato un modello di delivery con rider dipendenti. A marzo 2021 l’azienda ha infatti siglato con i sindacati un accordo che ha portato all’adozione del primo contratto collettivo per l’inquadramento dei rider come lavoratori dipendenti, basato sul Ccnl del settore logistica. “È stata introdotta una paga oraria corrispondente all’intero turno coperto dal rider e non in relazione alle singole consegne su cui invece viene garantito un bonus”, spiega Contini. Infine, Cosaporto per i dettagli di consegna si affida a diverse aziende esterne, tra cui l’internazionale Stuart, che utilizza diversi tipi di contratto a seconda delle necessità del personale e dei clienti.