L’occupazione nel settore della ristorazione è tornata quasi ai livelli del 2019, ma non è sufficiente per gli imprenditori. Nonostante i 987mila occupati nel 2022 (nell’anno pre-pandemico erano circa 991mila, mentre nel 2021 797mila), il 60% dei proprietari dei locali denuncia non poche difficoltà nel reperimento del personale. Sono queste le rivelazioni dello studio esposto durante l’Assemblea Annuale 2023 da Confocmmercio- Fipe, la Federazione italiana Pubblici Esercizi.
Considerando solo i mesi da ottobre a dicembre 2023, servirebbero infatti altre 150mila persone da impiegare. Nello specifico, in testa alla classifica delle mansioni più ricercate nel settore si trovano camerieri e baristi che insieme compongono circa il 50% del personale ricercato. “Un problema che affonda le sue radici nella mancanza di candidati, con specifico riferimento al personale di sala, e che rischia di frenare il percorso positivo intrapreso, sul quale influisce anche il crescente aumento dei consumi fuori casa”, recita una nota.
Per il 2023 la spesa stimata per il fuori casa si attesta sui 89,6 miliardi di euro correnti, con un incremento del 7,3% rispetto all’anno precedente. Considerando, tuttavia i valori a prezzi 2023, e quindi depurati dalla dinamica inflazionistica, il quadro si ribalta e il delta, rispetto al 2019, risulterebbe ancora sotto del -8,2 per cento.
Nel quadro generale, a settembre 2023, risultavano attive 334.173 imprese operanti nei servizi di ristorazione. Nello specifico si contano 133.381 imprese classificate come bar e altri esercizi simili senza cucina, 197.0953 unità considerati ristoranti e attività di ristorazione mobile e 3.697 attività di banqueting, di fornitura di pasti preparati e di ristorazione collettiva. Facendo un calcolo tra aperture e chiusure, nei primi nove mesi dell’anno hanno avviato l’attività ottomila imprese mentre 14.869 l’hanno cessata: risulta un saldo negativo per 6.869 unità.
“La dinamica imprenditoriale dei pubblici esercizi continua ad essere caratterizzata dallo strascico degli effetti delle restrizioni imposte per contenere la diffusione della pandemia che spiega un saldo che permane comunque negativo anche se le iscrizioni risultano in lieve ripresa rispetto all’anno precedente e le cessazioni in diminuzione”, conclude la nota.