C’è l’Aceto Balsamico Igp – 100 milioni di litri l’anno e un miliardo di fatturato – e quello tradizionale di Modena e Reggio Emilia – 10mila litri e 6 milioni di vendite. Più che alla contrapposizione, le aziende puntano alla promozione reciproca dei prodotti.
Scontato – o quasi – che in molte case ci sia una bottiglia di Aceto Balsamico di Modena Igp. È molto meno ovvio che, in quelle stesse case, ci sia una confezione di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena o Reggio Emilia Dop. Sono mondi vicini geograficamente, orgogliosamente emiliani, ma, al contempo, diversi per tradizione, volumi e metodi produttivi. Sono comparti che, nel più dei casi, si sostengono a vicenda, con l’Igp che rappresenta il nome del prodotto aceto in Italia e all’estero e la Dop che riveste, quello stesso nome, di nobiltà qualitativa, dando prestigio e valore a tutto il prodotto.
Chi nasce prima e perché
La storia del balsamico è molto lunga e mescola dati certi a molte leggende. Di aceto si è sempre parlato, ma l’aggettivo balsamico, per come lo si intende oggi, risale a non più di tre secoli fa. Il tradizionale è il risultato dell’acetificazione del mosto cotto di uve provenienti solo dalle province di Modena e Reggio Emilia e invecchia per almeno dodici anni. L’oro nero – come è stato ribattezzato – raggiunge prezzi importanti: un litro va dai 400 ai 1.500 euro. Ha conosciuto i canali di commercializzazione di recente, perché questo prodotto è sempre stato realizzato per l’autoconsumo o come oggetto di scambio nelle famiglie borghesi e nobiliari della zona che vantavano – e vantano tutt’oggi – antiche batterie – serie di botti e barili di legni differenti – nelle acetaie domestiche. Una conoscenza, quindi, ‘carbonara’ di questo condimento che inizia a uscire dai confini locali intorno alla metà degli anni ’70. Si fa avanti l’industria che, fiutando l’affare, democratizza il prodotto creando l’Aceto Balsamico di Modena (che d’ora in poi identificheremo con la sigla Abm), la cui denominazione Igp verrà riconosciuta solo nel 2009 (mentre quelle tradizionali nascono nel 2000). L’Abm, stando al disciplinare, è ottenuto da mosti d’uva parzialmente fermentati e/o cotti e/o concentrati a cui vengono aggiunti aceto di vino e una aliquota di aceto vecchio di almeno dieci anni. È possibile aggiungere del caramello come stabilizzatore e colorante. Cosa importante è che il periodo minimo di affinamento è di sessanta giorni, quindi ben più basso di quello previsto per il tradizionale. Le tre le tipologie – Abm, Aceto Balsamico Tradizionale di Modena-Abtm e Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia-Abtre – rispondono a due diversi consorzi di tutela e da pochi mesi esiste un terzo consorzio di secondo livello, Terre del Balsamico, una sorta di terreno di incontro e di confronto tra le tre differenti denominazioni.
I motivi del successo
La produzione annua di Abm è di circa 100 milioni di litri, mentre i due Abt non superano i 10mila litri. Una disfida impari, quindi, che commercialmente non esiste, pur avendo un nome molto simile. Difficile, inoltre, che i secondi finiscano sugli scaffali della grande distribuzione, seguendo invece altri canali di vendita. Nella classifica dei prodotti agroalimentari italiani più conosciuti al mondo, l’aceto balsamico si piazza benissimo, grazie al fatto che oltre il 90% della produzione prende la strada dell’estero, portando in giro il nome e l’idea di un territorio. Sono tre i motivi fondamentali di questo successo e li spiega in maniera chiara Andrea Bezzecchi, proprietario dell’Acetaia San Giacomo di Novellara in provincia di Reggio Emilia. “Primo – spiega Bezzecchi – parliamo di un prodotto semplice e senza rischi, ovvero non va mai a male – cosa rara nel mondo alimentare – e che non subisce alcun processo, ma solo miscelazione. In seconda battuta il gusto agrodolce ha avuto la meglio su quello dell’aceto, anche perché è un tratto gustativo comune a molte culture gastronomiche e infine ha uno storytelling fortissimo perché si rifà a una storia antica, anche se non sempre veritiera. Parliamo quindi di un business redditizio a zero rischio produttivo. A testimonianza della sua popolarità c’è il fatto che le più grandi aziende di produzione sono straniere, a partire dall’inglese Acetum”. Bezzecchi ha deciso di non produrre Igp per concentrarsi sulla nicchia del tradizionale di Reggio Emilia e altri balsamici cotti che lui chiama senza aceto (perché di fatto non usa aceto di vino). Non a caso, il suo canale di vendita privilegiato è la ristorazione di alto livello. “Avendo poco prodotto e tutto Dop invecchiato tra i 12 e i 25 anni – spiega Bezzecchi – l’alta ristorazione è stata l’unica via che mi ha consentito di stare in piedi. Il 70% rimane in Italia, il restante 30% va all’estero. All’inizio avevo provato a vendere nel canale retail, ma la competizione sui prezzi penalizza un prodotto come il mio”.
Altra storia quella di Claudio Stefani Giusti, diciassettesima generazione dell’Acetaia Giusti di Modena, la più antica ancora in attività (data di fondazione 1605). La sua produzione di Abtmo è intorno alle ottomila bottiglie e rappresenta il 4% di un fatturato in crescita del 26% rispetto al 2022 chiuso a 13,5 milioni di euro. “Non rappresentano certo il nostro business principale – spiega Giusti – ma sono il miglior biglietto da visita negli shop e nel museo che abbiamo aperto in azienda, che poi sono anche i luoghi dove le vendiamo con facilità. È un acquisto che conclude un percorso di conoscenza della storia di Giusti e dell’aceto balsamico fatto dalle nostre guide. A quel punto l’acquirente non si fa problemi a spendere intorno ai 70 euro e più per una bottiglietta da 100ml”. L’AD però ci tiene a sottolineare che nulla vieta di fare anche un buon Igp e quelli di Giusti, in contenitori da 250ml, arrivano a costare anche 60 euro. “Ci sono cinque tipologie di Igp – le Medaglie – e la più venduta è la terza, quindi non quella di primo prezzo, in questo modo ci avviciniamo al tradizionale”.
Anche Massimo Malpighi, quinta generazione dell’omonima azienda di Modena e consigliere in tutti i Cda dei tre consorzi, non crede nella lotta tra Igp e Dop, tra volume e valore, piuttosto il nemico è nelle imitazioni. “In giro per il mondo – spiega Malpighi – ci sono altrettanti 100 milioni di litri con diciture che traggono in inganno, come il diffusissimo Balsamic vinegar o Balsamello. Negli Usa il balsamico più venduto è prodotto in Spagna. I consorzi di tutela hanno in essere alcune cause con diversi paesi Ue, ma non basta, bisogna investire nell’educazione del consumatore e sul fare rete tra noi produttori. Dopodiché non credo che i due prodotti debbano farsi la guerra. Lo penserei se i numeri della produzione Dop fossero crollati. Al contrario, sono saliti, esattamente come l’Igp. Parlerei più di prodotti che si spalleggiano”. Insomma, l’aceto balsamico di Modena Igp parrebbe aprire le porte ai tradizionali, nonostante le differenze abissali di fatturato, circa un miliardo di euro nel primo caso, neanche sei milioni di euro nel secondo. Secondo Stefano Bellei, AD dell’acetificio modenese Carandini, il prestigio dei tradizionali, tuttavia, ha spinto la grande massa di Igp a a fare dei passi importanti verso la qualità. “Prova ne sia – sottolinea Bellei – la nascita del consorzio di secondo livello Terre del Balsamico che ha lo scopo di far dialogare i due segmenti e promuovere entrambi. Come Carandini non facciamo più di 600 bottigliette di Abtmo che viene venduto tutto all’estero, in particolare in Germania, Svizzera, Giappone e Stati Uniti”.
L’Importanza del racconto
Il turismo legato all’aceto balsamico nei territori di Modena e Reggio Emilia è un importante volano per la conoscenza del prodotto. Molte acetaie sono attrezzate per l’accoglienza e la vendita nei rispettivi shop rappresenta un introito importante. Lo sa bene Julia Prestia, proprietaria dell’azienda Venturini Baldini, nota per i suoi Lambrusco, ma che ha fatto delle visite all’antica acetaia un business interessante. “Produciamo soprattutto Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia nella storica acetaia di Canossa che ospita oltre 400 piccole botti”, spiega Prestia. “Per accogliere al meglio i nostri visitatori abbiamo ristrutturato il casale del Roncolo trasformandolo in un Wine&Balsamic Ralais e abbiamo aperto un ristorante. Da noi vengono anche tante aziende per fare team building ed è facile che prima di andar via acquistino le nostre boccette più preziose per fare dei regali”. Allo stesso modo, Acetaia Giusti ha puntato molto sul branding, inaugurando tre flagstore – Modena, Bologna, Milano – e aprendo le porte del Museo Giusti che accoglie 25mila persone all’anno: “Si tratta – spiega il titolare – di un percorso di 10 sale tematiche sul passato e il presente della mia famiglia e del territorio modenese. Alla fine della visita la sosta allo shop è quasi scontata e lo scontrino medio è di 60 euro, ma questo succede perché sono guidati nell’assaggio, esattamente come avviene nei tre negozi”. L’azienda si è impegnata anche nel mondo della mixology, lanciando un vermouth maturato nelle botti usate per il balsamico. Un modo alternativo di pensare al pairing. “Volevamo qualcosa che andasse oltre la classica coppia aceto balsamico e parmigiano reggiano e l’ambiente dei bartender e dei cocktail ha inserito il prodotto in un contesto più glamour. Anche l’attore Stanley Tucci ha usato il nostro 5 Medaglie per il suo Negroni”. Malpighi è andato oltre le visite aziendali e ha lanciato l’app mobile ‘My Malpighi’: si tratta di un’applicazione con centinaia di ricette che prevedono l’uso dell’aceto balsamico, oltre alla possibilità di inviare i propri consigli. Lanciata a settembre, ha già registrato migliaia di download. L’antica famiglia Carandini, tra i più nobili casati emiliani, ha scelto la strada della fiaba per raccontarsi, affidando il racconto a Bianca, una delle figure chiave della storia di questa acetaia. “Sul nostro spazio web ad esempio – spiega Bellei – Bianca dà consigli sugli usi alternativi dell’aceto di mele. Sul sito promuoviamo anche tanto le scelte sostenibili fatte in questi anni, come l’uso di materie prime di origine italiana, la presenza di pannelli fotovoltaici, l’utilizzo da 20 anni di un depuratore delle acque reflue. Inoltre, siamo la prima azienda del settore a pubblicare un bilancio di sostenibilità”.