Il debutto del nuovo marchio collettivo Trabocco per identificare gli spumanti metodo Charmat prodotti solo con uve autoctone, l’eliminazione di tutte le otto Igt presenti in questo momento sul mercato, sostituite dall’unica che avrà il nome di Terre d’Abruzzo. E ancora: l’introduzione della menzione Superiore per le quattro denominazioni regionali, nonché la possibilità di rivendicare, per questa tipologia così come per quella Riserva, anche le appellazioni provinciali: Colline Teramane, Colline Pescaresi, Terre de L’Aquila e Terre di Chieti. Infine, per il Montepulciano d’Abruzzo Doc, l’introduzione della sottozona San Martino sulla Marruccina. A questo, aggiungiamo noi, la fusione, entro la fine dell’anno, del Consorzio di Tutela Vini Colline Teramane Docg all’interno del più grande Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo.
Per i vini abruzzesi il 2023 sarà, con molta probabilità, ricordato come un anno, se non proprio epocale – la peronospora, qui come altrove, ha purtroppo colpito duramente – quanto meno rivoluzionario. Sono tanti infatti i cambiamenti che entrano in pista, alcuni certamente coraggiosi, come decidere di cimentarsi nel campionato delle bollicine, altri necessari, vedi la razionalizzazione del numero delle Igt e la maggior identificazione con i diversi territori di appartenenza.
I numeri di un protagonista della produzione nazionale
L’Abruzzo è da sempre una delle regioni più importanti nella produzione di vini in Italia dal punto di vista quantitativo e la viticoltura riveste un ruolo centrale per la sua economia. Nel 2022 sono state prodotte 140 milioni di bottiglie sommando le quattro Doc (Montepulciano d’Abruzzo Doc, Trebbiano d’Abruzzo Doc, Cerasuolo d’Abruzzo Doc, Abruzzo Doc e Villamagna Doc), alle quali vanno aggiunte le circa 600mila che escono sotto il cappello dell’unica Docg, il Montepulciano Colline Teramane. Ogni anno, in media, sono circa 3,4 milioni gli ettolitri complessivi, che posizionano l’Abruzzo al quinto posto della produzione italiana dopo Veneto, Puglia, Emilia-Romagna e Sicilia. Anche la vocazione all’export è uno dei fattori sempre più importanti e determinanti per il vino abruzzese, che varca i confini nazionali per il 60%, anche se scendendo nel dettaglio dei principali attori della regione, la percentuale sale notevolmente.
I tre quarti della produzione complessiva di vino provengono da 40 cantine cooperative, 32 delle quali attive nella sola provincia di Chieti. Un fenomeno, quello delle cooperative, che ha consentito soprattutto in passato, ma anche ora, a migliaia di piccoli viticoltori di sopravvivere, considerando la grande frammentazione della proprietà presente in questa regione. “Un tempo l’Abruzzo veniva identificato solo come una regione dai grandi numeri e di massa. Oggi tutto questo sta cambiando”, spiega Davide Acerra, responsabile della comunicazione del Consorzio Tutela Vini d’Abruzzo. “All’interno della cooperazione ci sono governance che lavorano per aumentare la qualità e noi come Consorzio lavoriamo con un unico obiettivo: aumentare il posizionamento dei nostri vini”. Un percorso che procede passo dopo passo, grazie a investimenti, formazione e comunicazione. “Ci vuole tempo per ridisegnare la fisionomia, ma siamo sulla strada giusta. L’anno scorso, per esempio, siamo stati premiati come regione dell’anno dalla rivista americana Wine Enthusiast”.
Il Trabocco e la scommessa delle bollicine
Il disciplinare Abruzzo Doc consente la produzione di spumanti, sia Metodo Classico che Charmat, dal 2010, ma è da quest’anno che si prova a cominciare a fare sul serio con il lancio ufficiale del Trabocco, un marchio collettivo che identifica solo la produzione con Metodo Italiano (ovvero Charmat o Martinotti che dir si voglia) e solo con vitigni autoctoni come Passerina, Pecorino, Trebbiano abruzzese, Montonico e Cococciola, e per tipologia rosé il Montepulciano. Dietro questo progetto, che intende cercare di mantenere in regione una produzione di basi spumanti che è sempre stata venduta per la maggior parte in altre regioni, ci sono per ora le cooperative, a partire dalla nuovissima realtà di nome Vin.Co, inaugurata lo scorso 21 giugno con sede e impianti di produzione a Ortona (Ch), nata dalla collaborazione di altre dieci realtà del mondo cooperativo abruzzese: Ari, Coltivatori Diretti Tollo, Eredi Legonziano, Michele Arcangelo, San Nicola, Sannitica, San Zefferino, Sincarpa, Villamagna e Citra Vini. L’obiettivo è quello di diventare una sorta di hub produttivo dedicato alla spumantizzazione a disposizione di tutti. Per ora sono circa 50mila le prime bottiglie a entrare in commercio. Una vera e propria scommessa: le bollicine sono un trend di mercato vincente e richiesto, il Trabocco è uno dei simboli della costa abruzzese. Il tempo dirà se il connubbio riuscirà a trovare una sua collocazione di mercato, a partire proprio dalla famosa costa dei Trabocchi in Abruzzo.
La centralità del Cerasuolo e le richieste di mercato
“È il vino più identitario del nostro territorio anche per un fatto storico e di consumo”, spiega sempre Davide Acerra. “Se oggi la media produttiva di Cerasuolo si aggira tra le 8 e le 10 milioni di bottiglie all’anno, l’80% viene consumato in regione, aspetto che fa capire quanto siamo legati a questo vino”. Il tema del vino rosato non è affatto secondario in questo momento in Abruzzo. Da una parte c’è il Cerasuolo, ottenuto dalla vinificazione dell’uva principe dell’Abruzzo, il Montepulciano. Un vino che il mercato forse fa fatica a identificare come un classico rosato a causa di un colore più simile a un rosso scarico e, inoltre, dotato di ottima struttura e carattere. Dall’altra parte c’è il mercato che, soprattutto all’estero, chiede rosati dalla sfumature più scariche e dall’impostazione quasi provenzale. Oggi il Consorzio si sta attivando per inserire una modifica nel disciplinare individuando un punto colore preciso per il Cerasuolo, blindando così la sua specifica identità. Però, dalla vendemmia 2023, si potrà imbottigliare anche il vino Abruzzo Doc Rosé, che dà la possibilità ai produttori di fare un rosato più di tendenza, quindi più scarico nel colore e meno strutturato. “Abbiamo notato un forte interesse verso i rosati, sia Doc che Igt”, conferma Giulia Sciotti, marketing manager & public relations di Fantini Group. “Nella versione Igt si va verso un colore più scarico, buccia di cipolla, di grande tendenza al momento, mentre sino ad ora per i Doc il disciplinare ci ha imposto un rosato più carico e dal colore tendente alla polpa della ciliegia. Entrambe queste categorie si stanno comunque muovendo molto bene”.
“Sono innamorata perdutamente del Cerasuolo”, afferma invece Marina Cvetic, al timone di uno dei grandi nomi dell’imprenditoria privata della viticoltura abruzzese, Masciarelli Tenute Agricole, nata nel 1981 dall’intuito imprenditoriale di Gianni Masciarelli. Oggi produce 2 milioni di bottiglie da 60 appezzamenti che si trovano all’interno delle quattro province della regione. “È un vino trasversale, che lo abbini alla pizza, alla pasta o alla zuppa di pesce e con qualsiasi tipo di cucina, anche internazionale. È un vino eccezionale, sottovalutato, rappresenta un quarto colore dopo bianco, rosso e rosato”.
Il Montepulciano, un rosso di grande caratura
Sono, per fortuna, lontani i tempi nei quali si pensava che dal Montepulciano si potessero ottenere solo vini particolarmente alcolici, strutturati e ricchi di colore, ideali per tagliare gli anemici rossi presenti nel nord Italia e non solo. La consapevolezza che da quest’uva si possano ottenere grandi rossi, anche da invecchiamento, è ormai diffusa sempre di più, non solo tra piccoli produttori diventati cult per gli appassionati e che occupano in termini di prezzo una fascia premium e super premium, ma anche da grandi cooperative. Dei 17mila ettari presenti di Montepulciano, 172 ettari si trovano nell’enclave delle Colline Teramane, che da 20 anni ha una sua Docg che valorizza esclusivamente il rosso ottenuto da quest’uva allevata all’ombra del Gran Sasso, su una zona pedecollinare che gli dona un timbro differente e di grande pregio. “Questa piccola comunità di produttori si è sentita obbligata a raccontare questa sua distintività – spiega il produttore Enrico Cerulli Irelli, presidente del locale Consorzio che raggruppa 30 aziende locali – ecco perché nacque prima la sottozona Colline Teramane e poi la Docg con un disciplinare particolarmente severo. Il percorso, sin qui, è certamente stato positivo, tanto che oggi l’Abruzzo del vino si sta ridisegnando in nome proprio delle appellazioni provinciali”. Anche in questo caso non mancano cambiamenti messi in cantiere: nel prossimo futuro, infatti, per la versione più giovane che prevede un anno di affinamento contro i tre della Riserva, le rese per ettaro si alzeranno dagli attuali 95 quintali a 105. “Con questa modifica contiamo di portare dentro la nostra Docg tutta la produzione del Montepulciano di questo territorio che ora esce come Doc”. Con la fusione di questo Consorzio dentro quello più vasto dell’Abruzzo Doc finirà una sorta di dualismo in nome del desiderio di fare sistema: “È un’operazione che risponde alle esigenze di aggregazione, pur mantenendo l’identità territoriale”, chiosa il presidente.
I vitigni autoctoni, una risorsa fondamentale
Se Montepulciano e Trebbiano rappresentano da sempre l’architrave della viticoltura abruzzese, sia dal punto di vista quantitativo che storico, ormai da qualche anno tante altre uve autoctone, soprattutto a bacca bianca, hanno conquistato spazio in termini di superficie vitata e apprezzamento da parte dei consumatori. In primis Pecorino e Passerina, varietà condivise anche con le vicine Marche, ma a seguire Cococciola e Montonico, interessanti anche per la produzione di basi spumante grazie alla loro bassa dotazione di gradazione alcolica e la grande acidità, due fattori ideali in considerazione dei cambiamenti climatici in atto. La ricerca di novità e alternative al Montepulciano, sul fronte dei rossi, ha portato anche alla riscoperta di vitigni quasi estinti come la Maiolica. “Siamo partiti quattro anni fa impiantando questo vitigno in due luoghi: a 400 metri vicino alla zona pedemontana del Sangro, vicino a Sulmona, e poi qui nelle nostre colline”, spiega Andrea di Fabio, direttore generale di Cantina Tollo. “È un rosso con caratteristiche organolettiche in linea con le tendenze attuali: freschezza, tannicità ridotta, eleganza. Sta riscontrando grande interesse”.
Oggi, complice una certa moda legata al tipico e al tradizionale, gli autoctoni stanno vivendo una sorta di seconda giovinezza anche in Abruzzo, sebbene questa regione si sia sempre contraddistinta per una certa refrattarietà alle varietà internazionali anche in tempi non sospetti, pur al netto di qualche eccezione (la Doc Controguerra nacque proprio con questo intento). La percezione complessiva, però, è che sia in atto una sorta di cambio di passo importante a livello generale, con l’obiettivo di restituire all’Abruzzo il ruolo che merita, facendo sempre più sistema tra le tante energie qui presenti.