Dopo anni di saldo positivo, nel 2022 la bilancia commerciale agroalimentare italiana è tornata in negativo per oltre un miliardo di euro. È quanto emerge dello studio prodotto da Nomisma e presentato in occasione del VII Forum Agrifood Monitor dal titolo ‘Commodities e food & beverage. La filiera agroalimentare alla prova delle tensioni su materie prime agricole, energia, acqua’.
Negli ultimi dieci anni, parallelamente alle esportazioni, il cui valore è cresciuto del 70% posizionando il nostro Paese al settimo posto nella classifica degli esportatori mondiali nel comparto food & beverage, sono infatti aumentate anche le importazioni. Queste dipendono al 57% dai Paesi dell’Unione Europea, “che rappresentano una sorta di ‘scudo’ a protezione della sicurezza alimentare nazionale”, mentre il restante 43% dell’import arriva da fuori unione. E questa dipendenza dall’estero “pone il Paese in una condizione di maggior precarietà e debolezza in contesti di estrema volatilità (sia dei prezzi sia degli scambi commerciali) come quello attuale”.
“Nel panorama dei top esportatori mondiali di prodotti agroalimentari, il Brasile rappresenta il Paese che più ha guadagnato da questo scenario fortemente condizionato da tensioni geopolitiche e avversità climatiche”, sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare di Nomisma. “Nell’anno da poco terminato, il Brasile ha messo a segno una crescita a valore del proprio export agroalimentare di oltre il 50%, superando i 126 miliardi di euro e conquistando così il secondo posto assoluto, dopo gli Usa, nel ranking mondiale”.
“La fiammata nei prezzi – prosegue Pantini – ha infatti favorito gli esportatori di commodities agricole, penalizzando invece i ‘trasformatori’ come l’Italia: basti pensare che, mentre il Brasile ha ottenuto un surplus nella bilancia commerciale agroalimentare di 113 miliardi di euro (contro i 73 dell’anno precedente), l’Italia dai 4 miliardi di euro del 2021 è tornata in negativo, dopo diversi anni di avanzo, di 1,4 miliardi di euro”.
Per esempio, protagonista dello scatto brasiliano è stato proprio il mais (+230%), per il quale l’Italia ha registrato nello stesso anno un raccolto più basso del 24% rispetto alla media 2017-2019, anche a causa della siccità.
Attualmente, il 40% delle aziende agricole italiane presenta una superficie coltivata inferiore a due ettari e il 27% delle aziende produce esclusivamente per autoconsumo. Inoltre, solo il 23% delle aziende agricole si trova inserito stabilmente in filiera (per esempio, il 21% conferisce ad organismi associativi) ed è quindi soggetto a “strumenti contrattuali” in grado di mitigare i rischi della volatilità di prezzi e mercati.
Inoltre, il 33% della superficie agricola italiana è soggetta a forte erosione mentre ogni giorno vengono consumati mediamente 19 ettari di suolo, senza contare che l’area mediterranea rappresenta un hot spot del cambiamento climatico.
“L’obiettivo – conclude Pantini – sarà quello di ridurre quei rischi di rotture nelle catene di approvvigionamento che da due anni a questa parte hanno generato, da un lato, rilevanti aumenti nei costi di produzione delle imprese, e dall’altro, fiammate inflattive nei prezzi al consumo di generi alimentari che non si vedevano da oltre trent’anni, con effetti a cascata sul carrello della spesa degli italiani”.