C’è correlazione tra l’aumentare dell’attenzione nei confronti della salute e la riduzione della gradazione alcolica nella birra. Nascono nuovi prodotti che, grazie alle proprietà organolettiche simili all’originale, intercettano nuove esigenze di consumo.
Aumenta la sete di birra analcolica. Complice una maggiore sensibilità verso i temi salutistici, la celebre bevanda a base di malto e luppolo perde in gradazione e cresce in appetibilità, almeno per una fetta di pubblico. La spinta, come si evince dall’ultimo report della società di ricerche DataM Intelligence, viene da una crescente consapevolezza sugli effetti negativi e collaterali che il consumo regolare di alcol ha sulla salute. Posizione sospinta in primis da enti e governi, vedi alla voce ‘health warning’ sulle bevande alcoliche in Irlanda (il Paese farà applicare su tutti i prodotti alcolici scritte quali “l’alcol provoca malattie del fegato”), la revisione a ribasso del consumo alcolico settimanale consigliato dall’agenzia governativa Health Canada (stimato ora a due drink, equivalenti a una bottiglia di birra o sidro da 341 ml, a un bicchiere di vino da 142 ml e a uno shot di superalcolico da 43 ml con rispettivamente il 5%, 12% e 40% di gradazione alcolica) e l’obiettivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di ridurre il consumo pro capite di alcol del 10% entro il 2025. Ma non è solo quanto c’è di negativo nell’uno a sospingere la crescita dell’altro: l’evolversi delle tecnologie ha portato allo sviluppo di birre analcoliche di qualità, con proprietà organolettiche molto simili (se non uguali) alle originali alcoliche, che ben si prestano alle più diverse occasioni di consumo, da quelle domestiche – rimaste all’ordine del giorno anche a pandemia finita – al fuori casa (quando, per esempio, si esce a cena e poi bisogna mettersi al volante), fino alle speciali come il ‘Dry January’, una sorta di ‘gennaio astemio’ istituito come momento di detox da alcolici post bagordi natalizi. Una propensione che si estende anche agli altri 11 mesi dell’anno, come dimostrano i numeri, destinati al raddoppio in dieci anni, a cui risponde una produzione sostenuta dai colossi del mondo birra che, alle classiche bionde, rosse e scure, ora accompagnano alternative senza alcol e strategie a lungo termine.
Raddoppio in 10 anni
Numeri alla mano, il mercato mondiale della birra analcolica (con un titolo alcolometrico volumico non superiore a 1,2%) è destinato al raddoppio nell’arco di un decennio. Secondo quanto elaborato dalla società di ricerca Future Market Insights, il settore passerà da un valore attuale di 20 miliardi di dollari (circa 18,6 miliardi di euro) agli oltre 40 miliardi nel 2032, con un tasso annuo di crescita composto (Cagr) del 7,8%, e quindi in aumento sul 7,2% che ha contraddistinto il periodo 2017-21. Nonostante la crescita serrata, in termini assoluti il segmento analcolico rappresenta ancora una quota marginale su un totale mercato birra di oltre 750 miliardi di dollari. E alla domanda crescente risponde una produzione puntuale, come sta accadendo in Europa. In base ai dati Eurostat, nei Paesi membri dell’Unione Europea la produzione 2021 di birra che contiene meno dello 0,5% di alcol è risultata pari a 1,7 miliardi di litri, frutto di una crescita del 20% sul 2020, anno di stabilità sul 2019. Una progressione che fa da contraltare all’aumento del 3% – a quota 33,1 miliardi di litri – per la birra alcolica che, nel 2020, aveva registrato una flessione dell’8% sul pre-pandemia.
Italia in crescita
Secondo l’ultimo report di Assobirra – Associazione dei Birrai e dei Maltatori, nel 2021 il dato di consumo pro capite di birra è risultato pari a 35,2 litri, in crescita sui 31,7 del 2020 e sui 34,9 del 2019. In questo contesto, le birre no and low alcohol hanno registrato una lieve ma pur rappresentativa crescita, passando da una quota dell’1,30% all’1,43% (a fronte del 17,82% delle speciali e 81,29% delle Lager). “L’Italia è un mercato in cui l’esigenza di consumo di bevande analcoliche è ancora poco sviluppata rispetto ai Paesi del nord Europa”, racconta a Pambianco Wine&Food Federico Sannella, direttore relazioni esterne e affari istituzionali di Birra Peroni. “Questo perché qui il consumo di bevande alcoliche è moderato e avviene essenzialmente durante i pasti”. Nonostante ciò, “poiché il consumatore italiano è interessato e attratto dalla qualità, l’interesse nei confronti di un prodotto senza alcol è comunque alto e sta crescendo, soprattutto se si è in grado di fornire un’alternativa di qualità con le medesime proprietà organolettiche”. Il player italiano che fa capo ad Asahi, nell’ottica di allinearsi ai piani del gruppo che punta a raggiungere quota 20% di prodotti analcolici nel suo portafoglio entro il 2030 (e infatti a gennaio 2023 è iniziata la distribuzione internazionale, a partire da Irlanda e Uk, dell’Asahi Super Dry 0.0%), ha quindi investito oltre 20 milioni di euro in nuove tecnologie e impianti di dealcolizzazione presso gli stabilimenti di Roma e Bari. Il focus è quindi su Peroni Nastro Azzurro 0.0%, distribuita sia in Horeca sia in Gdo e realizzata con un processo di dealcolizzazione finale che mantiene il gusto e i sapori dell’originale alcolica. Ciò, come specificato da Sannella, la rende un’alternativa valida per il pubblico che già ama la birra e il suo sapore, e non tanto un’opzione di ingresso per chi la birra non l’apprezza. Una scelta, quella di sviluppare il segmento no-alcol, motivata da questioni di responsabilità sociale e dall’opportunità di offrire un’innovazione di prodotto ai consumatori. “Noi siamo un’azienda che produce bevande alcoliche, pertanto il consumo responsabile è da sempre al centro della nostra strategia”, chiosa il direttore. “A livello di prodotto, la birra no-alcol offre qualità organolettiche equiparabili a quelle della versione alcolica, ciò fa sì che il prodotto possa rispondere alle diverse esigenze dei consumatori che scelgono questa alternativa in base a diversi fattori, i quali spaziano dalla tipologia di occasione di consumo all’attenzione a uno stile di vita bilanciato”. Considerarla un’alternativa “non vuol però renderla una seconda scelta e infatti il posizionamento è premium” che, a livello di comunicazione, si concretizza con la partnership con il Team Aston Martin Aramco Cognizant Formula One.
I big player scendono in campo
Durante il Super Bowl (la finale del campionato della National Football League americana, in programma il 12 febbraio 2023) il gruppo Heineken ha presentato la sua birra 0.0 durante uno spot di 30 secondi programmato per la prima metà della partita. Protagonista è l’attore Paul Rudd che, nei panni del suo personaggio Scott Lang/Ant-Man nel film Marvel ‘Ant-Man and the Wasp: Quantumania’ (in uscita nei cinema proprio a febbraio), è intento a sorseggiare una Heineken 0.0. Come puntualizzato dalla stessa multinazionale olandese, questa è la prima volta che una bevanda non alcolica per adulti è protagonista di una campagna pubblicitaria durante il Super Bowl, a testimonianza della crescente sensibilità di pubblico e mercato. Nell’ultimo report annuale a disposizione, riguardante l’anno 2021, il gruppo ha sottolineato di aver aumentato il volume del proprio portfolio low e no-alcohol del 10% raggiungendo i 15,4 milioni di ettolitri, mentre Heineken 0.0 è stata introdotta in oltre 100 Paesi. Nell’ultimo trimestre del 2022, invece, i volumi complessivi di birra in Europa, sia alcolica sia no-alcol, sono cresciuti dell’1,3% (ma comunque sotto del 3,3% rispetto al 2019), a fronte di una crescita, guidata dall’Heineken 0.0, di circa il 5% dei prodotti no-alcol e sidro. Al gruppo, si ricorda, fanno inoltre capo altri brand che hanno lanciato delle proposte senza alcol: Amstel che, per la sua Amstel Ultra light e l’analcolica Amstel 0.0, ha scelto come testimonial il tennista Rafael Nadal (per la prima volta volto di un un marchio di birra); Desperados con la sua Virgin (lanciata nel 2021); Laguinitas con la sua Ipa non alcolica.
Anche Ab Inbev, gruppo che raccoglie brand quali Beck’s e Corona, si è posta l’obiettivo di ampliare il proprio portafoglio raggiungendo, entro il 2025, quota 20% di prodotti low e no-alcohol (categoria che la realtà belga definisce Nablab – No and Low Alcohol Beer). Un traguardo che, come fatto sapere dalla stessa società nel suo ultimo Environmental, Social & Governance Report, non verrà rispettato nei tempi prestabiliti ma che in alcuni Paesi, come Cina e Panama, è già realtà dal 2021, anno in cui la quota Nablab ha rappresentato il 6,7% dei volumi totali di birra e i brand Nab (no alcool beer) sono saliti a quota 42 (tra cui Corona Sunbrew, Stella Artois 0.0, Budweiser Zero) con una presenza in 17 dei 20 top market del gruppo che appresentano il 90% dei volumi complessivi di Ab Inbev.