Se il 2022 è un anno complicato per il vino italiano, il 2023 sarà decisamente peggio. Non lascia dubbi l’indagine congiunturale dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly che ha evidenziato come lo scenario recessivo atteso per il prossimo anno farà flettere al ribasso i fatturati dei big del vino italiano in una doppia cifra stimata al -16 per cento. Un valore che, in termini assoluti, si traduce in un totale delle vendite italiane a quota 12 miliardi di euro, contro i 14,3 previsti per il 2022, i 13,5 del 2021, i 12,2 del 2020 e i 13,7 del 2019. Un risultato, quindi, addirittura inferiore rispetto all’anno dello scoppio della pandemia. Unica nota di lieve speranza: i costi, aumentati dell’83% nel corso dell’ultimo anno, sono attesi in lieve diminuzione dell’11 per cento.
Sempre nel 2023, il margine operativo lordo è previsto a quota 4%, un risultato che si scontra con il 10% stimato quest’anno, il 25% del 2021 e che, anche in questo caso, risulta persino peggio del 17% del 2020. In termini monetari, la riduzione del Mol atteso per l’anno prossimo è di circa 900 milioni di euro, pari a un totale di 530 milioni di euro contro il valore di 1,4 miliardi del 2022 e i 3,4 miliardi del 2021.
Passando all’anno in corso, le vendite procedono a due velocità: a volume si attende una riduzione dell’1% a 41,4 milioni di ettolitri, mentre a valore, come anticipato, si stimano 14,3 miliardi di euro (+6%), complici soprattutto l’Horeca e la vendita diretta. L’incremento del 7% sul prezzo medio, come specifica l’analisi, “è però del tutto inflattivo e non basta a coprire i costi, come dimostrato dalle richieste delle imprese alla distribuzione di aumentare i listini mediamente del 12 per cento”. Procedendo allo spaccato per area geografica, l’estero brilla sulla dinamica valoriale (+10% contro il +1% del mercato italiano), mentre i volumi sono attesi stabili in Italia e in leggera contrazione sui mercati internazionali, in particolare in Usa , Germania, Uk – dove si è registrato un calo dei volumi di vendita del 10% in Gdo – Cina e Russia.
Su queste performance pesa anche il il calo del 15%-20% dei valori medi del vino sfuso, relativi a una nuova vendemmia sopra i 50 milioni di ettolitri. “Una riduzione di 3 milioni di ettolitri – afferma l’analisi – aiuterebbe ad alleggerire la filiera delle eccedenze, liberando energia sulla parte sana e messa in commercio”. Infatti, “la sovrapproduzione genera extra sia tra i vini comuni che tra le Dop-Igp; per questo sarebbe necessario fare ordine sul sistema dei prodotti certificati”: su un totale di 458 Dop-Igp solo 90 hanno un tasso di imbottigliato su rivendicato sopra l’80%, mentre sono ben 270 (il 60% del totale) le denominazioni sotto il 60% di imbottigliato.