Sul podio anche Cartizze e Barbaresco, mentre il prosecco batte il metodo classico. La vera sfida è sul valore minimo, quello sotto il quale non si inizia a trattare e dove il Brunello fa valere il suo blasone.
I vigneti più famosi d’Italia lanciano un messaggio chiaro e preciso: “Noi non siamo in vendita, ma di fronte a un’offerta folle se ne può parlare”. A farlo sono soprattutto quelli di Barolo e Cartizze, per una top ten che nella realtà delle cose ha due espressioni ben diverse tra loro. Da una parte il ranking dei valori massimi, dall’altra quello dei valori minimi. Singolarità che però ha un significato solo a partire dal terzo gradino del podio dove, su quello dei valori ipotetici c’è il Barbaresco, mentre su quello del prezzo minimo, sotto il quale non si inizia nemmeno a trattare, c’è il Brunello di Montalcino.
LE LANGHE SUGLI SCUDI
Ma andiamo per ordine, perché nonostante l’ingresso del Gruppo Dosio nella cantina Coppo di Canelli, avvenuto nel 2021, e il debutto nelle Langhe della toscana Piccini 1822 di qualche mese fa, le ultime grandi operazioni in Terra di Barolo sono datate 2016, quando l’imprenditore americano Kyle Krause ha sborsato 60 milioni di euro per la cantina Vietti (28 ettari), e 2018, quando i fratelli Mirco e Federica Martini hanno investito due milioni di euro per mezzo ettaro nel cru Cerequio di La Morra.
Così, nello studio elaborato da Pambianco, che ha coinvolto produttori, professionisti del settore e consorzi, le Langhe continuano a essere meta ambita. Il Barolo lo è con valori compresi di 1,2-4 milioni di euro a ettaro mentre il Barbaresco invece va dai 500mila al milione e mezzo. Per Matteo Ascheri, presidente del Consorzio di tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani: “Ci sono molti investitori stranieri interessati ad acquistare in zona, per cui in realtà, la domanda è alta, ma per preservare l’unicità e l’equilibrio si è creata una linea che, come fosse una barriera corallina, deve evitare al massimo le speculazioni per preservare la tipicità del territorio, che è data anche dalla zonazione”.
LA FRANCIA È MENO LONTANA, MA LA BOURGOGNE NO
Valori che, e questa è una buona notizia per il sistema Italia, non sono ormai così lontani da quelli francesi. Prendendo in esame solamente le tre regioni più famose di Francia, abbiamo la Champagne in cui un ettaro di filari oscilla tra i 900mila e il milione e ottocentomila euro; quindi Bordeaux, che è un po’ più cara e veleggia tra i due e i tre milioni e mezzo di euro.
Un discorso a sé lo fa la Bourgogne, che sconta un prezzo medio da circa 7 milioni di euro, per una forbice compresa tra i 3 e i 16 milioni. E questo senza conteggiare la leggendaria acquisizione del 2017, quando la famiglia Pinault, già proprietaria di Kering, attraverso la sua finanziaria Artemis, comprò Clos de Tart e i suoi 7,5 ettari di vigna per un prezzo che i rumors locali indicavano in circa 220 milioni di euro.
PROSECCO BATTE AMARONE
Tornando in Italia, in Veneto la denominazione più apprezzata continua a essere quella di Cartizze che va da 1,1 a 1,5 milioni di euro ogni diecimila metri quadrati. Qui, in realtà, non è tanto il taglio alto della quotazione, quanto quello d’ingresso a determinare l’esclusività di una Docg di soli 108 ettari che, come ha spiegato Diego Tommasi, direttore del Consorzio Tutela del Vino Conegliano Valdobbiadene Prosecco: “Ha opportunità di acquisto veramente minime”. Una realtà piuttosto diversa dal resto dell’area del Prosecco, dove invece, a seconda delle caratteristiche del vigneto, si va dai 400 agli 800mila euro. Valori che sono un poco più alti di quelli registrati per un ettaro di Amarone della Valpolicella, che galleggia tra i 450 e i 650mila euro. Denominazione che deve tenere conto, come ha spiegato Christian Marchesini, presidente del Consorzio per la tutela dei vini Valpolicella: “Di un mercato fermo, se non per qualche intervento di rifinitura, e dell’attesa di capire cosa succederà dopo il 2025, quando arriverà la fine del blocco di impianto di nuovi vigneti”.
BOLGHERI SUPERA BRUNELLO PER VALORI MASSIMI
In Toscana, invece, la sfida tra Bolgheri e Montalcino finisce in una sorta di parità asimmetrica. Perché se lungo il viale dei Cipressi il valore massimo oggi tocca il milione di euro, contro i 900mila euro senesi, per avere un ettaro di Brunello non se ne possono spendere meno di 750mila, a fronte dei 550mila in provincia di Livorno. Stime che, per Riccardo Binda, direttore del Consorzio per la Tutela dei Vini Bolgheri e Bolgheri Sassicaia, guardando alla sua denominazione: “Restano comunque approssimative, anche perché le variabili sono davvero molte e ogni transazione fa un po’ storia a sé”. Soprattutto se da quelle parti sorge una realtà come quella del Sassicaia che, a differenza di altre super etichette, ha l’onore di essere sostanzialmente una ‘private doc’, situazione che di fatto la pone fuori mercato.
Un mercato, quello toscano, che in realtà sta vivendo un momento di grande fermento. Basta guardare alle ultime operazioni. A Bolgheri, recentemente, ci sono state quelle di Agricola San Felice (Gruppo Allianz) su Batzella (Bolgheri) e di Frescobaldi (già proprietaria di Masseto e Ornellaia) su Podere Arundineto. Non solo, perché a queste si sono aggiunte le espansioni di nove ettari per la Tenuta Campo al Mare di Ambrogio e Giovanni Folonari, e di sei ettari per Guado al Melo di Michele Scienza (figlio di Attilio). A Montalcino invece, sugli scudi sono arrivate le acquisizioni di Castiglion del Bosco, passata dalla famiglia Ferragamo a un importante family office internazionale, di Cantine Leonardo da Vinci a opera del gruppo Prosit di Quadrivio & Pambianco. Per Fabrizio Bindocci, presidente del Consorzio del vino Brunello di Montalcino: “I dati esprimono l’ottimo stato di salute della denominazione; negli ultimi anni si sono moltiplicate le manifestazioni di interesse verso il nostro territorio e sono stati portati a termine importanti processi di acquisizione verso i quali il Consorzio ha sempre avuto una posizione favorevole, a patto che si condividano i valori fondamentali, che non riguardano solo il vino ma anche la salvaguardia di un ecosistema territoriale che ha fatto della biodiversità un proprio caposaldo essenziale”.
IL METODO CLASSICO CHIUDE LA TOP 10
E mentre l’Alto Adige continua a far valere il proprio status, chiudendo il quintetto dei milionari, ma con un accesso a mezzo milione di euro, a completare la top ten c’è la coppia italiana del metodo classico. Trento doc e Franciacorta, tra l’altro, possono contare anche su una scala di valori piuttosto simile e che hanno in 350 mila euro l’espressione più alta, mentre il taglio d’ingresso è di 200mila euro per la denominazione trentina e di 190mila per quella lombarda. Quotazioni che riflettono sostanzialmente la presenza dei vigneti migliori nelle disposizioni delle cantine più importanti.