Dietro il Montepulciano, denominazione italiana leader tra i vini rossi, si muove una realtà enologica fondata sui vitigni autoctoni come Trebbiano d’Abruzzo, Pecorino e Passerina. L’irruzione sulla scena del fenomeno Farnese ha dato ulteriore scossa, partendo dai numeri
di Alessandra Piubello
Fra le prime tre regioni italiane per la crescita dell’export vinicolo (+50% negli ultimi 5 anni), l’Abruzzo ha ancora un ottimo potenziale di sviluppo, a partire dal suo vino di punta per le vendite. “Cinquantadue anni dopo la nascita della doc, il Montepulciano d’Abruzzo si conferma la prima denominazione rossa d’Italia e fa da traino”, afferma Valentino Di Campli, presidente al secondo mandato del Consorzio Vini d’Abruzzo, che raggruppa 200 cantine e 6mila produttori, rappresentando circa l’85% della produzione regionale. Da sola, la denominazione principe abruzzese rappresenta oltre l’80% del totale: “Sono 100 milioni di bottiglie nel 2019, con un incremento del 12% rispetto al 2018”, precisa Di Campli. Ma in Abruzzo c’è molto altro.
TRAINA IL MONTEPULCIANO
Una regione ricca di biodiversità, che crede negli autoctoni: dal suo rosso per eccellenza, da cui si ricava anche il rosato Cerasuolo, ai bianchi come Trebbiano d’Abruzzo, Pecorino, Passerina, Cococciola e Montonico. “Esportiamo il 50% della produzione – aggiunge Di Campli – e siamo ben presenti in gdo, che copre il 70% delle vendite”. Proprio la specializzazione nel cosiddetto canale moderno ha permesso ai vini abruzzesi di crescere anche nel primo trimestre 2020, con un +10% per il Montepulciano e un + 6 per gli altri vini. “Siamo la quinta regione vinicola d’Italia per volumi, ma ancora abbiamo un ruolo di servizio rispetto ad altre zone produttive. Scontiamo la giovane età enologica, la scarsa attitudine imprenditoriale e commerciale”. Il Consorzio Vini d’Abruzzo ha lavorato in questi anni, con l’apporto dei produttori, alla revisione dei disciplinari che è attualmente al vaglio del ministero, per valorizzare l’identità abruzzese, legando i vitigni autoctoni ai territori. Alla fine del 2018 è stato introdotto il contrassegno di Stato: “Un obiettivo che mi ero dato e che sta dando ulteriore credibilità al nostro sistema produttivo”, precisa Di Campli, che è anche presidente della coop vinicola Codice Citra. I fondi regionali e i progetti legati ai finanziamenti Ocm sono stati utilizzati per fare “una pianificazione coerente a medio e lungo termine, anche all’estero”. Certamente, rispetto ad altre regioni come Toscana, Veneto o Piemonte, l’Abruzzo gode di minor notorietà turistica, che penalizza la riconoscibilità dei suoi prodotti tipici, compreso il vino. “Non siamo stati sufficientemente abili nel promuovere le nostre bellezze e le nostre peculiarità, ma ci stiamo lavorando”, afferma il presidente del consorzio. Alcune azioni di comunicazione sono state avviate a seguito dell’impatto Covid-19. Di Campli cita la chiusura degli accordi con alcune delle principali piattaforme di vendita online per promuovere i vini abruzzesi, la creazione sulla pagina web del consorzio di una sezione che riunisce tutti gli shop on-line delle cantine aderenti, la campagna social #iobevoabruzzese.
FARNESE IN TESTA
In testa alla top ten per fatturato, tra le aziende abruzzesi, troviamo Farnese Vini, realtà giovane e anomala. Nasce nel 1994 ad Ortona per opera di tre amici: Valentino Sciotti, attuale amministratore delegato, Filippo Baccalaro (enologo) e Camillo De Iuliis, per poi gradualmente espandersi in altre cinque regioni. Oggi produce 24 milioni di bottiglie, ha un fatturato di circa 79 milioni di euro (con una crescita nei primi 4 mesi del 2020 del 6.7% grazie alla gdo e all’e-commerce) quasi totalmente generato dall’export. “Siamo partiti con un investimento di 3 milioni di lire, non avevamo vigna, né cantina”, racconta Sciotti. L’azienda è diventata un case history di riferimento nazionale non solo per la sua crescita, ma anche per aver cambiato tre investitori nel giro di pochi anni: prima 21 Investimenti, poi Nb Renaissance e infine Platinum Equity, fondo americano che controlla l’80% del capitale, mentre il restante 20% è in possesso della famiglia Sciotti. La valutazione del gruppo, all’ultimo passaggio di mano, è stata pari a 180 milioni di euro. In Abruzzo è presente con le realtà Fantini, Caldora e Gran Sasso. “Il reparto di ricerca e sviluppo è il nostro fiore all’occhiello: i nostri 20 enologi di formazione internazionale fanno aggiornamenti continui e non smettiamo di prestare la massima attenzione all’evoluzione del gusto dei consumatori”, afferma Sciotti. Dietro Farnese si posiziona Codice Citra, realtà cooperativa di secondo livello che raggruppa 9 cantine sociali. I numeri? Tremila soci per una media di due ettari ciascuno, una produzione di 20 milioni di bottiglie, un export del 65% e una distribuzione focalizzata (90%) sulla gdo. “Abbiamo raddoppiato il fatturato in 5 anni, consolidando i risultati lo scorso anno – afferma Di Campli, presidente al quarto mandato – e crescendo nel frattempo da 14 a 20 milioni di bottiglie. I primi 4 mesi del 2020 evidenziano una crescita ulteriore. Abbiamo spinto nel frattempo su progetti di valorizzazione dell’identità territoriale; con il contributo di Riccardo Cotarella (enologo consulente dell’azienda, ndr) e del prof. Attilio Scienza, abbiamo realizzato un lavoro di analisi e ricerca sui vigneti dei nostri soci per avere un quadro approfondito che ci aiuterà nel futuro”. Sul terzo gradino del podio c’è Tollo, coop di primo livello con una produzione di 13 milioni di bottiglie e un maggior orientamento verso il mercato interno, che assorbe circa i due terzi della produzione. Anche in questo caso, il canale di riferimento è la gdo (70% delle vendite). Il gruppo propone una settantina di etichette diverse, fra cui alcune private label per l’estero. Tonino Verna, presidente della struttura con sede a Tollo e a capo del Consorzio Tullum, è stato il grande sostenitore del passaggio a docg della doc Tullum, avvenuto l’anno scorso. “Siamo stati i primi nel territorio a imbottigliare – racconta – e una delle prime cooperative a scommettere sul biologico, che a oggi è circa il 10% degli ettari totali. Negli ultimi cinque anni abbiamo aumentato il fatturato del 34%, incrementando anche la produzione di bottiglie di 2,5 milioni”.
IN CRESCITA COSTANTE
Marcello Zaccagnini è un imprenditore dalla visione lucida, che scaturisce dal grande sogno di fare vino: per 11 anni ha lavorato come operaio, procurandosi i mezzi per fondare la sua azienda nel 1978 a Bolognano. Oggi i numeri della Zaccagnini sono: 100 ettari di proprietà (a cui si aggiungono i 1.300 dei conferitori), 6 milioni di bottiglie di cui il 20% in bio, una cantina artistica, 85% export, predominanza della gdo all’estero e dell’horeca (60%) in Italia. Lo scorso anno ha aumentato del 6% il fatturato, consolidando una crescita che aveva comportato il raddoppio del giro d’affari tra il 2011 e il 2017. “Negli Usa, dove ho un rapporto quarantennale di partnership con WinesU nella figura di Gino Razzi, siamo leader per il Montepulciano d’Abruzzo, con una quota di mercato del 30%”, racconta Zaccagnini. “E nei primi tre mesi dell’anno siamo ulteriormente cresciuti negli States, con ricavi al +11,5 percento”. Al quinto posto troviamo la cantina cooperativa Orsogna, una realtà di 500 soci, leader nella coltivazione di uve biologiche e biodinamiche, con un fatturato di più di 22 milioni. E a seguire si posiziona Masciarelli, guidata oggi da Marina Cvetic Masciarelli, che ha preso le redini dell’azienda fondata dal marito Gianni, figura simbolo e protagonista della viticoltura abruzzese moderna, scomparso 12 anni fa. Dai 2,5 ettari iniziali, l’azienda è cresciuta fino agli attuali 300 vitati, disseminati in 14 comuni su tutte le province abruzzesi. “La nostra produzione media – afferma Marina Cvetic – è di 2,2 milioni, con qualche spostamento da annata ad annata; nella 2019 abbiamo avuto una contrazione e abbiamo prodotto circa 2 milioni di bottiglie. L’annata è stata anomala dal principio, ma la vendemmia sarà ricordata come una delle migliori degli ultimi decenni, per i vini rossi e per i bianchi. Sostanzialmente la produzione è stabile da anni come quantitativi, su 22 etichette e sei linee, mentre come fatturato nel 2019 abbiamo avuto un incremento del 3%.