Non è soltanto un modo per distinguere il suo docg dalla massa del doc. La scelta comunicata da Col Vetoraz, uno dei più nobili marchi della spumantistica di Valdobbiadene con 1,2 milioni di bottiglie prodotte, di rinunciare al termine “prosecco” per applicare in etichetta, nel packaging e nelle azioni commerciali la sola definizione “Valdobbiadene docg” è una forma di rivendicazione della sua identità territoriale. Necessità che diventa ancor più forte oggi, dopo aver ottenuto dall’Unesco l’iscrizione delle colline di Conegliano e Valdobbiadene a patrimonio mondiale dell’umanità.
La decisione è stata presa a partire dalla vendemmia 2017 ma solo oggi l’azienda fondata nel 1993 da Francesco Miotto, Loris Dall’Acqua (enologo) e Paolo De Bortoli (agronomo) ha dato risalto al fatto, comunicando le ragioni che l’hanno portata alla rinuncia. In una nota, Col Vetoraz parla di “un obiettivo chiaro e significativo; rimarcare il valore della propria identità territoriale e diffondere un messaggio chiave che, ora più che mai, diventa necessario far arrivare al pubblico di consumatori italiano ma anche estero”.
Col Vetoraz non fa prosecco doc e l’unico vino extra docg presente tra le proprie referenze è un rosé, il Dodici Lune, da uve Pinot nero vinificate in rosa. A differenza dei big di Valdobbiadene, che dopo il 2009 (anno del riconoscimento della doc per un territorio che comprende l’intero Friuli Venezia Giulia e cinque province del Veneto su sette) si sono dedicati anche al prodotto a denominazione di origine controllata, l’azienda è rimasta ferma sul suo territorio di origine e ora evidenzia la debolezza della distinzione tra doc e docg, soprattutto in chiave export.
I soci parlano di “una situazione caotica, dove la semplice distinzione tra ‘prosecco’ e ‘prosecco superiore’ non è sufficiente per trasmettere in modo chiaro una precisa identità”. E aggiungono: “Per una scelta esclusivamente di natura politico-economica, dal 2009 prosecco non è più la vite che ottocento anni fa ha trovato qui dimora ideale, ma è diventata una denominazione estesa su nove province tra Veneto e Friuli. Territori privi di storia, dove la coltivazione della vite non è tramandata di generazione in generazione dalla sapienza dei vecchi, ma ha assunto una visione prettamente industriale”.