Le indicazioni di mercato danno il consumo di vini bio in piena espansione, e i produttori italiani sono avvantaggiati per ragioni climatiche: infatti l’Italia è in vetta alla classifica. Permangono molte resistenze, in particolare sulla certificazione. Eppure sarebbe un’occasione per aumentare il valore… Il vino biologico piace sempre di più. Ad affermarlo sono praticamente tutte le statistiche di settore, fotografando un consumo ogni giorno più importante ma che, per adesso e in termini assoluti, ha un peso marginale. Comunque la strada è imboccata in tutto il mondo e in un mix di opportunismo, scetticismo e autentico credo, molti produttori hanno abbracciato la causa dell’agricoltura bio. Secondo i dati Faostat raccolti da Federbio, nel 2016 gli ettari vitati a biologico (compresi quelli in via di conversione) che si contavano sul pianeta erano più o meno 380mila: il 5,3% del totale (7,1 milioni) e in costante aumento. Di questi, ben 328mila, cioè oltre l’86%, erano distribuiti in Europa e l’Italia da sola rappresentava il 32% del dato europeo e quasi il 28% mondiale.
BEL PAESE BIO
Il Bel Paese non ha solo il primato in termini assoluti, aspetto quasi scontato considerando l’enorme quantità di filari che uniscono le Alpi Aurine all’isola di Lampedusa, ma ha anche quello un po’ più significativo del rapporto sul totale. Qui l’Italia comanda con il 12% davanti a una sorprendente Austria con l’11,2%, alla Spagna con il 10,2% e, medaglia di legno dell’ipotetico podio, la Francia che si ferma al 9%. Certo, i numeri sono ancora relativamente piccoli, ma è altrettanto vero che si sta osservando un fenomeno ancora giovane e che, in quanto tale, continua a crescere speditamente. Basta considerare ciò che è successo nel nuovo millennio. Dal 2000 a oggi infatti il totale della superficie vitata è diminuita mentre quella biologica è triplicata, arrivando a raddoppiare negli ultimi sei anni. Se le superfici vitate crescono, è naturale che a farlo siano anche le produzioni. Così pensando all’oggi come anno zero, si deve partire da 500 milioni: che sono i litri di vino biologico prodotto nel mondo nel 2017 (ultimo dato utile). Un numero importante in termini assoluti e che nel corso del tempo lo diventerà ancora di più. La domanda, piuttosto, riguarda la capacità di assorbimento del mercato. La risposta sembra essere positiva. Questo perché secondo il Survey Wine Monitor Nomisma 2018 il vino bio è apprezzato per il suo saper rispettare l’ambiente (76%), per la sua salubrità (61%), per la sua autenticità (50%) e, perché no, anche per le sue qualità organolettiche (43%). E allora ecco che per il 38% degli italiani il prossimo trend di consumo sarà proprio all’insegna del biologico. E così sarà anche per gli americani.
ITALIA ED ESTERO
Partiamo con il dire che in Italia, nella sola grande distribuzione, il 2018 (con febbraio come mese terminante) ha registrato vendite di vino bio per 21,6 milioni di euro, l’88% in più di quanto fatto nel 2017. Una performance particolarmente significativa se paragonato al +3% maturato dal settore in generale. A trainare la crescita, su base regionale, c’è il Piemonte che ha segnato il +415%, l’Emilia Romagna il +233%, la Sicilia il +176%, le Marche il +107% e la Toscana il +70%. Il tutto a un prezzo medio per bottiglia di 5,6 euro. Ma anche in questo caso, come sottolineano i dati Nielsen, il peso specifico sul totale è ridotto all’1,2% (era lo 0,7% nei dodici mesi precedenti). Le cose migliorano invece sul mercato nella sua pienezza. Secondo Nomisma nel 2018, i consumatori italiani di vino bio hanno segnato un deciso passo in avanti, con il 41% di essi, con età compresa tra i 18 e i 65 anni, che ne hanno acquistato una bottiglia in almeno un’occasione. E anche in questo caso ci si trova davanti a un passo in avanti, perché nel 2013, a farlo, era stato solo il 2% della popolazione. Quanto all’estero, l’ultimo report della britannica Iwsr-Drinks market analysis dice che nel 2017 sono state stappate circa 671 milioni di bottiglie di vino biologico con Germania, Francia e Regno Unito a contendersi la palma di nazione più virtuosa. Dell’attenzione dei mercati internazionali, ovviamente, ne giovano anche i prodotti del made in Italy, con il vino in cima alla lista. E allora ecco che, come ha indicato uno studio di AssoBio/Nomisma, l’etichetta green italiana in Germania oggi vale già il 33% del totale esportato nel paese. Seguono gli Stati Uniti (12%), il trittico Svezia, Canada e Svizzera (8%) e la Cina (7%). Ma a differenza del plateau illustrato da Iwsr, il Regno Unito vale solo il 6% e la Francia non compare nemmeno nella top-10.
![](https://wine.pambianconews.com/wp-content/uploads/sites/15/2019/03/DOSS_1898m192_cantina.jpg)
SICILIA E FRANCIACORTA
Se l’Italia è virtuosa tra i Paesi, la Sicilia lo è in Italia. Secondo i dati forniti da FederBio su elaborazione da Sinab, nel 2018 gli ettari coltivati a vite bio in Trinacria erano poco meno di 36mila, più del doppio rispetto a Puglia e Toscana che occupano le altre due posizioni sul podio. Il clima sicuramente aiuta le regioni del Mezzogiorno, perché al nord le precipitazioni sono maggiori durante la bella stagione e troppa umidità espone i filari al rischio di muffe e altre problematiche che poco si conciliano con il metodo bio. Tanto più il clima è mite, temperato e regolato dalle brezze marine, tanto più tiene lontane una serie di patologie dannose a piante e vendemmie. Il che si traduce in meno trattamenti. Tra le denominazioni però s’impone una regione del nord, la Lombardia, grazie ai virtuosismi della Franciacorta. La terra dello spumante docg metodo classico costituisce senz’altro il case history italiano più importante in ambito bio, con una quota che sfiora l’80% sul totale delle uve coltivate nel suo territorio. Altrove la produzione non solo è percentualmente inferiore, ma è anche difficilmente calcolabile perché i consorzi non dispongono di informazioni aggiornate né complete. In Franciacorta invece la conversione da metodo convenzionale a bio è stata avviata in maniera programmata e si punta, in tempi abbastanza brevi, ad arrivare al primo wine district di dimensioni significative 100% bio. Per gli altri distretti, al di là di piccoli appezzamenti che appaiono più come operazioni di marketing che come vere e proprie trasformazioni, la strada sembra ancora lunga.
CERTIFICAZIONI SENZA APPEAL
Eppure il vino bio in Italia potrebbe essere di più di quanto appare. Questo perché, lungo lo Stivale, diversi produttori già operano seguendo i criteri bio, ma hanno rinunciato a inseguire la certificazione che, tra costi e burocrazia, è più spesso considerata una seccatura che un vantaggio. Una scelta che però si scontra con un paio di punti del Wine Monitor di Nomisma. Il primo, ad esempio, svela come il 49% dei consumatori ritiene che i vini bio siano di qualità superiore rispetto ai vini convenzionali, arrivando al 68% tra chi lo consuma già. Il secondo invece sottolinea come il 38% di chi non beve vino bio, non lo fa solamente perché non ne trova nei negozi e nei ristoranti abitualmente frequentati. E se a questo aggiungiamo che il 90% dei consumatori intervistati sarebbe disposto ad acquistare una bottiglia della cantina preferita, se questa inserisse una linea a marchio biologico, ecco che il gioco è fatto. A patto però di avere un po’ più di chiarezza, perché il simbolo apposto nell’etichetta spesso non è visto come sinonimo di garanzia. Forse una fascetta verde per Doc e Docg potrebbe essere la soluzione giusta, considerato che a stamparle è l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; inoltre, sarebbe immediatamente riconoscibile e non avrebbe un impatto estetico negativo in etichetta, perché spesso i loghi delle certificazioni tolgono appeal ai vini, in termini di design, anziché contribuire al loro valore. Al di là dello scetticismo verso le certificazioni, l’impressione è che nel mondo del vino non sia stata colta una potenzialità reale della svolta verso l’agricoltura biologica: si tratta di una modalità per aumentare il valore del prodotto, giustificando un prezzo superiore per i propri vini. E l’Italia, storica inseguitrice della Francia in questa classifica basata sul value, ha ottime ragioni per credere con più convinzione a un vino più sano e, proprio per questo, più costoso. In Franciacorta, più che altrove, lo hanno compreso.