Illva Saronno ha pochi prodotti e li ha saputi valorizzare al massimo, diventando una piccola multinazionale da 300 milioni con joint venture in Cina e India e filiali in Usa, Svizzera e Olanda
Un piccolo impero italiano del beverage alcolico, fondato sugli spirits e potenziato con l’ingresso nel mondo dei vini e delle forniture per gelaterie. Illva Saronno ha chiuso il 2018 incassando circa 300 milioni di euro, per la metà legati al business dei superalcolici da cui tutto ebbe inizio nel secondo dopoguerra. La proprietà è rimasta familiare, gestita attraverso la holding presieduta e amministrata da Augusto Reina, che nel frattempo ha esteso l’orizzonte dei propri investimenti rilevando un terzo della società cinese Changyu, leader asiatico nella produzione di vini con un giro d’affari di circa 800 milioni di dollari. Illva Saronno Holding ha messo inoltre un piede in India, costituendo una joint venture paritaria con Umesh Modi Group per la distribuzione dei suoi prodotti: oltre a Disaronno e ai vini del gruppo Salaparuta (marchi Corvo, Fiorio e Salaparuta), opera con i brand Amaro 18 Isolabella, Mandarinetto, Vodka Artic, Rabarbaro Zucca, Aurum e Tia Maria. E dispone di tre filiali estere in Usa, Svizzera e Olanda. “Siamo soddisfatti – racconta Stefano Battioni, amministratore delegato di Illva Saronno Spirits – perché l’anno si è chiuso con una crescita tra il 4 e 5% tutta ottenuta in maniera organica, non avendo effettuato acquisizioni o lanci particolari di nuovi prodotti, e questo indica un buon stato di salute del gruppo”.
Com’è suddiviso il vostro giro d’affari?
Illva nasce come produttore di superalcolici, area di business da cui derivano circa 150 milioni di ricavi, pari alla metà del fatturato di Illva Saronno. Dai vini dipende il 30% e il restante 20% è composto dalle forniture per le gelaterie e dalla produzione di aromi destinati non solo intergruppo, ma anche alla vendita a terzi. Quest’ultima attività costituisce in sostanza la nostra vera divisione R&D.
Disaronno è il vostro prodotto più noto e internazionale. Dove lo vendete?
Lo distribuiamo in 160 Paesi del mondo, a partire dagli Stati Uniti dove siamo presenti da oltre mezzo secolo e che rappresenta il primo mercato di destinazione davanti al Regno Unito. Il 90% delle vendite è all’estero. Disaronno è un classico consolidato, ma al tempo stesso versatile e accattivante per le nuove generazioni. Inoltre si presta a interpretazioni fashion, come dimostrano le collaborazioni ‘Disaronno wears…’ con i brand di moda: ne abbiamo fatte sei, l’ultima con Trussardi. La crescita delle vendite è costante.
Restando negli spirits, come vanno gli altri brand?
Tia Maria è fortissima in Gran Bretagna, Argentina e Australia; nel 2018 abbiamo investito in una campagna pubblicitaria mirata a rinnovarne l’immagine, attualmente in onda in Uk e in Olanda. Inoltre, stiamo rilanciando internazionalmente Zucca espandendo la rete distributiva per cogliere le occasioni che si stanno aprendo per gli amari italiani come ingredienti di cocktail. Da questo punto di vista, Zucca ha delle potenzialità particolari perché si tratta di un prodotto unico al mondo, essendo basato su un ingrediente specifico come il rabarbaro. Lo stiamo perciò rimettendo in distribuzione negli Stati Uniti.
Avete intenzione di acquisire nuovi marchi?
Siamo sempre attenti alle opportunità che si possono aprire nel mondo, ma compriamo soltanto se i marchi rispondono ad alcuni requisiti: devono essere forti, unici, profittevoli, e devono rappresentare un valore per il consumatore. Non siamo Diageo o Pernod Ricard, non abbiamo i loro numeri, pertanto non possiamo affrontare battaglie in campo aperto con quei colossi, date anche le cifre che girano nel nostro mondo. L’ultima acquisizione conclusa è stata Tia Maria (nel 2009 da Pernod Ricard, nda) e stiamo ancora lavorando per il rilancio di questo brand.
Che investimenti avete in cantiere?
Negli spirits abbiamo da poco rinnovato le linee di produzione e oggi disponiamo delle più moderne in circolazione, robotizzate e ad alto contenuto tecnologico, con conseguente raddoppio della capacità produttiva giornaliera. Lo stesso avverrà quest’anno per la divisione vini.
Quali sono le strategie in Salaparuta?
Non entro nello specifico perché non seguo direttamente il mondo wine, ma i due aspetti fondamentali riguardano l’espansione internazionale e la focalizzazione sui prodotti di fascia premium.
E la Cina? Come siete posizionati in quel mercato?
Faremo partire da quest’anno un nuovo progetto per approcciare un Paese complesso sia a livello distributivo sia anche per le specificità del consumatore cinese, che però si sta evolvendo e inizia già ad avere una cultura del vino. Ci sono tante relazioni da creare e occorrerà pazienza per entrare in Cina con successo: il piano è definito ma, come diceva un famoso generale, nessun piano sopravvive al primo giorno di guerra. Lo porteremo avanti, modificandolo all’occorrenza, con l’obiettivo di costruire una posizione rilevante ma profittevole, perché Illva ha bisogno di guadagnare per poter crescere.
L’aver acquisito un terzo di Changyu può esservi d’aiuto?
Direi che è stato fondamentale per aiutarci a comprendere meglio le dinamiche di mercato, anche se poi i vini di Changyu, 600 milioni di bottiglie l’anno, rappresentano un prodotto totalmente diverso da quelli di cui ci occupiamo noi. E non lavoreremo necessariamente con loro dal punto di vista distributivo.
E l’India come sta andando?
La joint venture con Umesh Modi Group risponde alla loro esigenza di diversificare una produzione fondata su zucchero e alcol e alla nostra esigenza di sviluppare le vendite in un mercato in piena esplosione, nel quale ogni anno entrano 19 milioni di nuovi consumatori. Loro ci hanno messo la parte produttiva e commerciale, noi il know how, il marketing e lo sviluppo dei nuovi prodotti. Oggi in India siamo la terza compagnia a più alto segmento di valore dopo Pernod e Diageo. Come se l’immagina Illva Saronno tra cinque anni? Mi piace pensare che continueremo a crescere in maniera costante e single digit, e che magari avremo acquisito un nuovo business coerente con le nostre strategie. Vogliamo far le cose per bene e vogliamo concretizzare un ritorno degli investimenti effettuati, tale da permetterci di guardare al futuro senza troppe pressioni immediate. La famiglia Reina ha una visione a lungo termine perché è convinta che tra cinquant’anni sarà ancora al comando, e questo è un fattore di successo rispetto ad altre realtà non familiari che presentano invece la necessità di un ritorno a breve termine.