Nicola D’Auria, presidente di Movimento Turismo del Vino, analizza le potenzialità e i limiti del fenomeno. “Faremo gli stati generali per affrontare le sfide, a partire dalla formazione di personale qualificato”. Intanto la nuova legge è ancora inapplicata.
Nicola D’Auria non si rifugia dietro stime improvvisate e preferisce riconoscere una grave lacuna, in fatto di enoturismo. “Non abbiamo un’idea precisa di quanto valga il fenomeno, e la valutazione è una delle prime cose che occorre fare perché se non ci sono numeri, non possiamo fare programmi”, afferma il neo presidente del Movimento Turismo del Vino (Mtv). Del resto, per il sistema Italia, il wine tourism potrebbe apparire un fenomeno quasi nuovo se analizzato dal punto di vista strutturale e normativo, visto che l’approvazione dell’emendamento che regola le visite in cantina è stato inserito nell’ultima legge di bilancio del governo Gentiloni. Prima di quel comma, paradossalmente, le aziende potevano sì vendere i loro prodotti, ma non potevano fatturare un servizio alla clientela. E questo limitava molte delle iniziative che sono alla base dell’enoturismo, dal pagamento di un biglietto di ingresso nelle cantine (fatto abbastanza comune all’estero) alle degustazioni. Anzi, utilizziamo il presente e non il passato: le limita tuttora, perché tra elezioni, formazione del nuovo governo e altre problematiche (vedi questione voucher in agricoltura per il cosiddetto decreto dignità), la situazione non si è ancora sbloccata. “Siamo in stand by”, ribadisce D’Auria, abruzzese di Ortona, nominato a fine marzo presidente del movimento a cui aderiscono circa 850 realtà vitivinicole e che organizza i due momenti più importanti dell’enoturismo: Cantine Aperte, giunta quest’anno all’edizione numero 26, e Calici di Stelle. “L’ultimo passaggio per superare lo stallo è stato rimesso alla conferenza Stato-Regioni, laddove noi produttori non abbiamo voce in capitolo, e la problematica emersa riguarda il coinvolgimento delle strade del vino, che peraltro esistono solo in alcune regioni e territori. Attendiamo che la situazione si sblocchi, ma come Movimento non siamo particolarmente d’accordo sul fatto che l’iniziativa privata delle aziende sia vincolata alle interferenze della politica”.
LE POTENZIALITÀ
In attesa di uno sblocco, ci si domanda perché le potenzialità dell’enoturismo nella penisola non siano mai esplose ed è opinione diffusa che l’Italia, per quanto oggi le cose stiano cambiando, sia in ritardo rispetto ai principali competitor, compresi quelli europei. Vero o falso? “Dipende dai territori – replica D’Auria – perché se consideriamo la Toscana siamo a quota 100, altrove siamo fermi a 30. D’altronde è più facile ricevere visitatori in cantina a San Gimignano di quanto invece non lo sia nella mia regione. L’Italia possiede un patrimonio e occorre farlo conoscere”. Il problema è come… Se ragioniamo in termini di eventi e comunicazione, l’esperienza di Cantine Aperte è stata importante e D’Auria rivendica, a nome del Movimento, il successo dell’iniziativa che al mondo, afferma, non ha rivali. “Oggi Cantine Aperte è un evento nazionale, attorno al quale occorre coinvolgere tutti gli attori del turismo del vino, compresi i ministeri dell’Agricoltura e dei Beni culturali per la competenza turistica, ottenendo così visibilità anche per le regioni che oggi appaiono meno attrattive”. Quanto agli investimenti, nonostante le incertezze legislative, ormai le aziende hanno compreso le potenzialità e stanno creando tutto ciò che manca nel territorio in cui operano. “Non è che vogliamo metterci a fare gli albergatori o i ristoratori – sottolinea il presidente – ma se non ci sono hotel attorno, è chiaro che le aziende si organizzano per investire in ospitalità, visto che hanno terreni e immobili adatti alla trasformazione. Io stesso ho organizzato la parte ristorazione in azienda per Cantine Aperte perché nella mia zona, durante l’evento, non c’erano ristoranti disponibili ad accogliere gli enoturisti, essendo tutti già impegnati in matrimoni o altre cerimonie. E poi, se parliamo di pernottamento, è chiaro che la cantina offre ai turisti delle emozioni che altre strutture non sono in grado di suscitare. Oggi, il pubblico cerca soprattutto questo: l’emozione”.
GLI OSTACOLI
Quali sono gli ostacoli? Al di là del quadro normativo, talvolta le aziende non appaiono del tutto convinte dell’investimento, per ragioni che vanno dal budget richiesto alla necessità di seguire professionalmente l’ospitalità, che sia per la sola visita in cantina o per un programma di hospitality più completo. “Non si tratta solo di parlare altre lingue. L’aspetto della formazione è molto più complesso e deve essere al centro di un’iniziativa che Mtv intende lanciare e sostenere: gli stati generali del turismo del vino, un’operazione di sistema per coinvolgere istituzioni, associazioni dei sommelier, città del vino, strade del vino e in generale tutti coloro che appartengono al nostro mondo”. Perché i benefici della wine passion che si avverte oggi non vanno solo a favore delle aziende, sotto forma di valorizzazione del brand o di fatturato originato dalle vendite dirette, ma dell’intero territorio. Infine, occorre che il primo a credere ciecamente al turismo del vino, soprattutto in una realtà fatta di piccole aziende come quella italiana, sia l’imprenditore agricolo, che diventa così il testimonial diretto della sua cantina, colui che ci mette la faccia. Questo valore aggiunto, secondo D’Auria, vale il prezzo del biglietto che prima o poi le aziende dovranno imporre per la visita, come si fa negli Usa. “Perché dobbiamo selezionare i visitatori, riservando l’accesso ai veri interessati. E i veri interessati vogliono ascoltare la storia direttamente dal produttore, degustando assieme il vino. Spesso però, purtroppo, il produttore non ha tempo o si stanca di svolgere quest’attività, che invece ha un’importanza strategica”.